Lettera di un soldato al fronte


Aurora Battaglino - Scuola Media Brofferio, Asti


L’amore verso i familiari, l’uguaglianza, la libertà, il ripudio della guerra, la paura, il contrasto tra vita e morte, … non sono sentimenti che si provano o si dimostrano quotidianamente, specialmente ai giorni nostri…


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
lettdalfrontef

 

Ho voluto raccontare, sotto forma di lettera destinata alla madre, la storia di un soldato qualunque al fronte. La battaglia che si sta svolgendo è quella di Caporetto, combattuta durante la Prima Guerra Mondiale. Credo che questa esperienza mi abbia invitata a riflettere, ma anche a provare emozioni fortissime, che ora galoppano dentro di me. L’amore verso i familiari, l’uguaglianza, la libertà, il ripudio della guerra, la paura, il contrasto tra vita e morte, … non sono sentimenti che si provano o si dimostrano quotidianamente, specialmente ai giorni nostri, in questo mondo che sfreccia a gran velocità in motocicletta, mentre a me sembra di rincorrerlo ancora a piedi nudi.                                                       

Caporetto, 3 novembre 1917         

       

Carissima madre, come state?

Qui la situazione è terribile, non si può vivere e ogni giorno le bombe sono boati che sgretolano un’intera parte del mondo. La guerra è spietata sotto ogni aspetto: molti miei compagni rimpiangono giorno e notte di essersi allontanati dalle proprie famiglie per abbandonarsi alla presunta morte. Io però non mi arrendo, spero ancora di farcela e di uscire vivo da questo inferno.

Voi non potete nemmeno immaginare quanto io soffra ogni ora per quello che vedo e sento.

Ogni mattina mi alzo prestissimo al suono delle fucilate, tra i defunti della trincea e le persone morenti che esalano gli ultimi respiri pregando il buon Dio nell’attesa di trovare la pace. Quando arriva il mio turno provo un dolore e una tristezza infinita, quasi come un fuoco che brucia ogni speranza. Quasi per miracolo, riesco a resistere per qualche tempo. Questi casi sono i più disperati: devi uccidere senza guardare in faccia alcuno, non importa chi ti troverai davanti perché dovrai ugualmente sparare, e farlo quasi con fierezza o passione; dovrai continuare, senza poterti opporre agli ordini, anche se avrai la polvere negli occhi e le lacrime nel cuore. E in quei momenti sai che stai commettendo del male, ma non puoi fermarti, anche se sei consapevole che chi sta al di là di quel confine è giovane come te e non è colpa sua se indossa una divisa di un altro colore o alza una bandiera diversa dalla tua.

C’è invece chi muore di fame e di stenti, anche perché il cibo è scarso e quel poco che possiamo mettere sotto i denti è rancido. I più deboli muoiono per colpa del freddo che ci tormenta dalla sera al mattino. Le coperte, infatti, sono poche e chi riesce a procurarsele è così avido da non volerle condividere con nessuno.

Alla fine di una settimana abbiamo conquistato o perso solo pochi metri, che ai miei occhi sembrano solo allagati dal caldo sangue innocente di chi ha lottato fino alla fine.

Sono stufo, mia carissima e preziosissima madre, di tutto quello che sta succedendo; qui si sta verificando l’impossibile: morti a destra, morti a sinistra, morti dietro ai miei lenti passi scoraggiati. Ognuno di noi sa che non può in alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che è ormai  perduto per sempre: la vita di un amico, di un fratello lontano che ora non può più abbracciare.

Basta, basta, basta! Non ne posso più, ho il cuore freddo come una pietra e le lacrime calde che parlano da sole: ho ucciso. Non credevo che sarei mai stato capace di spezzare la vita di un uomo  così velocemente, senza permettere di dare ad entrambi un senso all’orrore della guerra.

Chi non prova a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo e detta solo leggi dalla propria scrivania, dicendo di combattere sempre e comunque, non sa che cosa noi abbiamo visto, udito, provato, e non potrà mai, dico mai, rendersene conto.

Solamente ora, ahimè, capisco che a noi qui non è rimasto più niente, solo i boati nelle orecchie, il freddo sulle gambe, il respiro dell’ingiustizia nella mente e il peso di vite umane che grava sul cuore, e guardando come incantato il mondo intorno a me, per la prima volta nella mia vita, ho paura.

Un saluto e un abbraccio, 

                                                                             

 Alessandro

 

Aurora Battaglino, 13 anni

Asti, Scuola Media di Primo Grado “A. Brofferio”

 

 

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento