Sri Lanka tra Pechino e Santa Sede
Emanuele Giordana
In Sri Lanka arriva il papa e andrà in terra tamil. Mentre a tempo di record Sirisena forma il nuovo governo. Piuace a Usa e Ue. Meno a Pechino. Diario da Taprobane
Mentre con una rapidità stupefacente il neo presidente Sirisena sta già formando il suo governo a poche ore dall’insediamento e dalla clamorosa sconfitta di Mahinda Rajapaksa, Sri Lanka aspetta un altro grande evento: l’arrivo del papa. Non si tratta di una visita pastorale come tante e arriva in un momento complesso che non ha mancato, prima delle elezioni, di suscitare polemiche nella base e tra la gerarchia progressista dell’isola, dove i cattolici sono una minoranza piccola ma presente e a cui stava a cuore che Bergolgio non si prestasse a speculazioni politiche da parte del presidente. Adesso non è ben chiaro come sarà il cerimoniale: Rajapaksa aveva affisso manifesti con la sua immagine e quella del papa e forse sperava di poterlo accogliere da presidente eletto per guadagnarsene la benedizione. Ai cattolici, tutti con Sirisena, la visita ormai concordata prima dello strappo di novembre (quando Rajapaksa ha indetto le elezioni prima della scadenza naturale del mandato) sembrava un rischio così alto da far consigliare a molti un rinvio.
La struttura dove parlerà il papa, che parte da Roma domani per essere a Colombo martedi, non è ancora terminata e si corre ai ripari lavorando di buona lena: leve, gru, ponteggi metallici, operai che punteggiano il lungomare su cui si affaccia la capitale e, poco più avanti, il palazzo presidenziale in questi giorni oggetto di speculazioni e rumor. La velocità con cui Rajapaksa ha ammesso la sconfitta, ha lasciato di stucco chi credeva che comunque il vecchio presidente non avrebbe mollato: un giornale locale sostiene addirittura che avesse in realtà deciso di ribaltare il tavolo, chiedendo al procuratore generale di preparare le carte per sbarrare la strada a Sirisena, e che avrebbe cambiato idea dopo il suo rifiuto. Scenario di fantasia?
Certo gli elementi del giallo ci sono tutti. E ci sono forse state tutte le pressioni possibili per portare a casa un risultato pacifico e forse alla fine concordato. Sirisena si insedia infatti addirittura il giorno stesso in cui Rajapaksa – senza avere in mano neppure i risultati definitivi – ammette la sconfitta. Questione di ore e l’India si congratula con calore. Poi è la volta di Londra, quindi di Washington. E si congratulano tutti quei Paesi che nel 2013 boicottarono il summit del Commonwealth a Colombo. Un primo ministro è già al lavoro: Ranil Wickremesinghe – un liberale già premier diverse volte – nemico acerrimo di Rajapaksa e personaggio che può restituire al Paese quel che l’ex presidente gli ha tolto: sia un’alleanza economica con Usa e Occidente che in questi anni passava invece per Pechino (potrebbe pare saltare un accordo da 1,5 miliardi di dollari con la Cina Communications Construction Co Ltd), sia un’immagine più collaborativa con le minoranze, soprattutto i tamil. Ranil fu l’uomo che tentò la via pacifica con la guerriglia delle Tigri durante la guerra al Nord durata più di vent’anni.
Forse però degli equilibri etnico-religiosi sarà più Bergoglio che Sirisena ad occuparsi. Il papa si è fatto precedere da dichiarazioni come quella rilasciata all’agenzia Fides dal vescovo di Kandy Fernando Vianney, che ha evocato una “soluzione politica dell’era post-conflitto, basata sul principio del decentramento dei poteri, dell’unità e della riconciliazione”. Francesco – che ha in progetto una visita in area tamil – si presenta inoltre con una canonizzazione a tempo record del sacerdote secentesco Jospeh Vaz, amato da singalesi (la maggioranza dei cattolici srilankesi) e tamil.
Sul fronte della riconciliazione Sirisena ha fatto promesse ma fino a un certo punto: è disposto a mettere in piedi una commissioni che valuti crimini e violazioni della guerra ma anche lui, come Rajapaksa, non ne vuole sapere dell’Onu e delle sue inchieste così super partes da essere imbarazzanti per tutti. Sirisena, già segretario dello stesso partito di Rajapaksa, è stato ministro in diversi governi e le Tigri tamil lo avevano tanto in odio tanto da tentare nel 2008 di ammazzarlo. Ora guiderà un governo che ha dentro di tutto: dalla sinistra marxista ai liberisti, dai gruppi buddisti radicali ai musulmani. Forse più che alle minoranze penserà a come liberare Sri Lanka dall’abbraccio di Pechino e a come tenere in piedi la sua eterogenea coalizione.
Fonte: http://emgiordana.blogspot.it
11 gennaio 2015