Armi: all’Onu entra in vigore il Trattato, ma la Farnesina lo snobba
Giorgio Beretta - unimondo.org
Il “Trattato sul commercio di armi” è entrato in vigore il 24 dicembre alle Nazioni Unite. Il silenzio della Farnesina, del neo ministro Paolo Gentiloni e del governo Renzi è comunque particolarmente eloquente.
Il “Trattato sul commercio di armi” (Arms Trade Treaty – ATT) è entrato in vigore ieri alle Nazioni Unite. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, lo ha definito un “nuovo capitolo” degli sforzi internazionali per portare “responsabilità, controllo e trasparenza nel commercio globale degli armamenti”. Sebbene l’Italia sia stata tra le prime nazioni a ratificarlo – grazie soprattutto alle pressioni della Rete Disarmo e all’impegno del Parlamento – e sia attualmente alla Presidenza del Consiglio dell’UE nessun comunicato è stato emanato ieri dalla Farnesina e – ovviamente – nemmeno da Palazzo Chigi. Non cercate dunque la notizia tra i tweet della Farnesina; non la troverete nemmeno tra quelli del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, o del suo vice ministro Lapo Pistelli, o dei sottosegretari Mario Giro e Benedetto Della Vedova. E’ apparsa solo una nota di Federica Mogherini, attuale Alto rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, che evidenzia che il Trattato è “una pietra miliare nell’agenda internazionale per la sicurezza”: un atto dovuto considerato il suo ruolo.
Il silenzio della Farnesina…
Il silenzio della Farnesina, del neo ministro Paolo Gentiloni e del governo Renzi è comunque particolarmente eloquente. Le Camere hanno infatti votato all’unanimità per la ratifica del Trattato, ma lo hanno fatto nel settembre 2013 durante il governo Letta: evidentemente il governo Renzi, ed i suoi ministri, non sono troppo propensi a riconoscere il merito del parlamento e del precedente governo. Anche perché la semplice notizia dell’entrata in vigore del Trattato avrebbe potuto stuzzicare l’attenzione dei Tg (nessuna notizia nei Tg serali della RAI) e dei (pochi) giornalisti curiosi che avrebbero potuto – come da anni facciamo su Unimondo – cominciare a guardare da vicino quante e quali armi e sistemi militari esporta l’Italia o ficcare il naso nelle recenti esportazioni di “armi leggere” – di cui l’Italia è leader mondiale – destinate anche a polizie repressive come quelle del Messico e del Guatemala, dell’Egitto (nonostante il blocco dell’Ue) e alle forze armate di diversi regimi di paesi ex-Urss, come quelle inviate alle forze armate dell’autocrate presidente turkmeno Gurbanguly Berdimuhammedov, al quale il premier Renzi non ha lesinato parole di stima e amicizia. Ma soprattutto si sarebbe rischiato di sollevare il velo sui mancati controlli da parte del Parlamento sulle esportazioni di armi italiane: non è un caso che dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi (cioè dal maggio del 2008) le Commissioni parlamentari non abbiano più preso in esame le corpose (ma sempre più deficitarie) Relazioni che i vari governi hanno annualmente inviato alle Camere.
…e dei blasonati Istituti di ricerca
Significativo anche il silenzio dei più blasonati istituti di ricerca italiani sulla “sicurezza e la difesa”. Pur cercando non si trova infatti notizia dell’entrata in vigore del trattato né sul sito dell’Istituto di Affari Internazionali (IAI) né nella sua rivista online “Affari Internazionali”: a memoria l’ultimo studio che ne parla risale al 2013 (qui in .pdf). Nessuna notizia sul sito dell’altrettanto blasonato ISTRID che ha sede presso il Centro Alti Studi per la Difesa nel cinquecentesco Palazzo Salviati. Niente notizie sul sito del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.) che però è sempre pronto a rilevare le “opportunità” e le “prospettive” per l’industria militare italiana e nemmeno un tweet dal suo presidente, Andrea Margelletti, sempre attento a twittare le proprie apparizioni televisive. Nessuna notizia sul sito del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI) che pur annovera nel consiglio di presidenza due degli attuali sottosegretari agli Esteri. E nemmeno sul sito di “Analisi Difesa” che – nonostante la sponsorizzazione di Finmeccanica – si distingue per le sue posizioni critiche sugli F-35. Non cercate notizie sul Trattato nei siti dei sedicenti centri di ricerca fondati o collegati a parlamentari come la Fondazione di cultura politica “Italianieuropei” presieduta da Massimo D’Alema o la Fondazione I.C.S.A. (Intelligence Culture and Strategic Analysis), che annovera tra i soci fondatori ed ex-presidente il suo collega di partito Marco Minniti. Insomma il controllo del commercio degli armamenti – cioè di quegli strumenti che appaiono puntualmente e “misteriosamente” nelle mani sbagliate in tutti quei conflitti che tutti dicono di biasimare – sembra essere una questione che interessa soprattutto i pacifisti. Probabilmente l’entrata in vigore del trattato deve essere sembrata ai suddetti istituti di ricerca e di studi strategici una notizia poco rilevante. O, molto più probabilmente, hanno ben compreso le implicazioni del trattato anche per gli affari delle aziende armiere italiane, a cominciare da Finmeccanica (ovviamente nessuna notizia nemmeno da quest’ultima), e si sono ben guardati dal sollevare il tappeto sull’export militare italiano.
Di fronte a questo assordante silenzio è inutile cercare una notizia sull’entrata in vigore del Trattato sui siti dei principali quotidiani italiani: al massimo se ne trova traccia nei blog che ospitano curati da persone appartenenti ad associazioni per la tutela dei diritti umani, come Riccardo Noury o del mondo della cooperazione come Sergio Marelli (ma ne diede notizia lo scorso ottobre). Una breve notizia è apparsa, ad onor del vero, sul sito OnuItalia sbagliando però il titolo (non è un trattato “contro” il commercio delle armi).
Il comunicato di Rete Disarmo
A darne notizia sono state le associazioni internazionali che dal 2003 hanno promosso la campagna “Control Arms” tra cui Amnesty International, Oxfam, Saferworld e numerose associazioni. La campagna italiana “Control Arms” ne ha dato notizia attraverso i suoi promotori nazionali: la sezione italiana di Amnesty International e soprattutto la Rete Italiana per il Disarmo che annovera una trentina di associazioni ed anche alcuni istituti di ricerca indipendenti.
Nel suo comunicato, Rete Disarmo evidenzia che il Trattato internazionale sugli armamenti (ATT) “segna un passaggio epocale importantissimo per il controllo e il monitoraggio dei sistemi d’arma convenzionali. Con esso si introdurrà la possibilità di far prevalere considerazioni legate ai diritti umani e alla sicurezza delle popolazioni sugli affari ed i guadagni legati a questo tipo di produzione”.
Nonostante l’evento sia storico, Rete Disarmo ribadisce anche i limiti del trattato. “Il nostro giudizio sul Trattato non può essere completamente positivo poiché la sua adozione riguarda solo i principali sistemi d’arma più le armi leggere e di piccolo calibro” – commenta Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di Ricerca Archivio Disarmo. “In particolare permangono solo una serie di limitate forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano esclusi sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militari”. Questi elementi convincono Rete Disarmo e le sue componenti a non accontentarsi del risultato ottenuto, ma a continuare il lavoro soprattutto in termini di miglioramento futuro del testo e dell’adeguata organizzazione dei meccanismi per la sua implementazione.
Per quanto riguarda direttamente il nostro paese, Rete Disarmo evidenzia la grave e lunga mancanza di controlli parlamentari sulle esportazioni di sistemi militari italiani e rinnova la richiesta alle competenti commissioni parlamentare di riprendere l’esame delle relazioni governative e di dedicare la dovuta attenzione a tutta la materia delle esportazioni militari italiane aprendo il confronto con le sue associazioni e centri di ricerca che da anni pubblicano puntuali e dettagliate analisi.
Infine Rete Disarmo sottolinea la poca trasparenza sulle esportazioni di “armi leggere” italiane. “Non va dimenticato – ha commentato Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia – che l’Italia è il principale esportatore mondiale di armi comuni che, come ha evidenziato il precedente segretario dell’Onu Kofi Annan, sono le vere armi di distruzione di massa del nostro tempo. L’entrata in vigore del Trattato internazionale deve perciò diventare l’occasione anche per il nostro Paese per definire strumenti di maggior controllo e trasparenza sulle esportazioni di queste armi: sono infatti molte le armi esportate anche dalla provincia di Brescia verso le zone di conflitto e a corpi di polizia e di pubblica sicurezza di governi autoritari e le cui violazioni dei diritti umani e civili sono tristemente note ed accertate” – conclude Biatta. E anche questo spiega perché la Farnesina e i vari centri di ricerca abbiano preferito tacere la notizia. Buon Natale anche a loro! (E, di cuore, anche a tutti i nostri lettori).
Fonte: www.unimondo.org
25 dicembre 2015