Liberare la Rai


Vittorio Emiliani


Per liberare la Rai via la Gasparri e subito un ddl per una Fondazione sul modello britannico o svedese. Invece si lanciano slogan o si alzano cortine fumogene.


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Sembra incredibile. Ma è vero che ci sono Comuni italiani dove evidentemente si ritiene “bello”, oltre che doveroso, pagare tutti quanti il canone Rai: a Berra e a Portomaggiore in provincia di Ferrara lo versa, addirittura con slancio, oltre il 99 % delle famiglie, in pratica lo evade una famiglia, due al massimo. E difatti Ferrara è il capoluogo di provincia che, assieme a Viterbo, col quasi il 94% capeggia la graduatoria nazionale della “fedeltà”. Con una evasione nettamente inferiore a quella britannica. Vorrei aggiungere che si tratta di zone di recente sviluppo, fino a 50-60 anni fa ancora cariche di braccia rurali disoccupate. Eppure sono quelle dove il senso civico evidentemente prevale. Le prime regioni in assoluto in questa graduatoria della “fedeltà” ad una (checché se ne dica) modesta imposta sono la Toscana con l’84,1 % di famiglie abbonate, seguita da Friuli-Venezia Giulia, Alto Adige, Emilia-Romagna, Liguria, Marche e Lazio, ex regioni “rosse” con una spruzzata di tradizione asburgica. Ormai assente nel Lombardo Veneto invece.

Per contro, quelle dove si onora di meno tale imposta sono le stesse, purtroppo, dove abusivismo edilizio, lavoro nero e malavita hanno eroso ed erodono il senso di appartenenza comunitaria: Campania (in particolare Napoli-Caserta) col 57 % scarso di abbonati puntuali, Sicilia col 57,82 (specialmente le aree di Palermo e Catania), e Calabria con meno del 62 %. Quanto ai Comuni dove si evade di più, essi rientrano nell’area casertana dove – a Parete,  San Marcellino, Casal di Principe, Villa Literno, ecc. – non lo paga il 90% e oltre, oppure in Calabria (Platì soprattutto, e Ciminà).

Andando a spulciare fra le grandi città, si scopre che Milano – dove pure la televisione di Stato nacque settant’anni fa – è il capoluogo regionale del Centro-Nord dove il canone di abbonamento viene meno onorato (62-63 famiglie appena ogni cento)  battuta, anzi strabattuta da Roma “ladrona” dove invece 84-85 famiglie su cento lo pagano. Neppure la Torino di via Arsenale 21 (i più anziani ricorderanno quel mitico indirizzo) brilla granché col suo 68,12 % di “fedeltà”, per non parlare di Verona che sta al livello di Milano. Evidentemente la propaganda delle Lega Nord contro il pagamento del canone Rai una qualche seria breccia l’ha aperta. Non però nella Lombardia meridionale e nella stessa Brianza.

Perché ricordo questa “geografia del canone”? Intanto per rammentare a tutti, dal premier Matteo Renzi in giù, che esistono ancora – secondo i dati ufficiali Rai riferiti al 2012 – 16-17 milioni di famiglie che, pagando il canone, tengono in piedi la Rai e che andrebbero premiati e non frustrati. Dieci-dodici anni fa gli introiti dell’azienda di Stato – dai bilanci e dagli ascolti ben più solidi – erano per metà canone e per l’altra metà pubblicità. Da allora quest’ultima, vuoi per la recessione generale, vuoi per l’iniqua legge Gasparri che ha favorito Mediaset molto più nettamente, ha avuto un crollo del 45% e il canone ha puntellato i bilanci salendo a rappresentare il 60-65 % e oltre delle entrate. E’ vero che l’aumento della popolazione ha portato con sé anche un incremento degli abbonati (circa 800.000 in più nel 2012 rispetto ad inizio secolo), ma contemporaneamente l’evasione è aumentata di un bel po’ di punti, dappertutto (tranne che in certi Comuni del Ferrarese e anche della Lucchesia, fra la Garfagnana e il mare), ma specialmente nel Veneto, in Lombardia, e un po’ in tutto il Sud.

Credo che sia stato un gravissimo errore aver snobbato il canone e non aver organizzato a livello governativo una strategia anti-evasione in quest’ultimo decennio, aver negato aumenti anche minimi del canone più basso d’Europa (113,7 euro contro i 150 dell’Irlanda, i 183 del Regno Unito, i 214 della Germania e i 245 dell’Austria, per non parlare della Scandinavia o della Svizzera). Pazienza quando li negò Berlusconi avendo quale ministro il fido Gasparri, ma che l’abbia fatto il governo Renzi mi sembra sconcertante.  Specie nel momento in cui chiedeva alla Rai di “contribuire” con 150 milioni di euro pur avendo chiuso l’ultimo bilancio con un utile di 5,5 milioni, più figurativo che altro. Il premier ha alluso allora alla possibile vendita di Rai Way, o alla sua quotazione in Borsa. Fattibile (ma ci vorranno mesi) la seconda, sconsigliabile la prima per turare le falle di bilancio. Renzi ha detto più volte di voler “liberare la Rai dai partiti”, di voler “aprire il dossier Rai”.

Per liberare la Rai – dal governo oltre che dai partiti – basta azzerare quasi totalmente l’infame legge Gasparri (il cui vero autore, il consigliere del centrodestra Antonio Pilati, ora si professa, pensa te, “renziano”), presentare subito un disegno di legge che preveda una Fondazione alla maniera britannica o svedese. Invece si lanciano slogan o si alzano cortine fumogene. Tira di nuovo aria di privatizzazione più o meno massiccia? Non sarebbe una gran novità. Anche ai tempi dell’Ulivo illustri firme del giornalismo televisivo sostennero che andavano messe sul mercato due reti Rai su tre. Né valse opporgli che con una sola rete nessuna emittente televisiva sta in piedi, in tutti i sensi e che quelle due reti Rai sul mercato se le sarebbe pappate Berlusconi attraverso qualche prestanome. Insistettero. Per fortuna, invano.

E’ stata istituita dal sottosegretario all’editoria Antonello Giacomelli, già direttore di Canale 10, una commissione di studio sulla Rai. Dagli articoli di qualche suo componente confesso di non averci capito granché. La sola cosa chiara è che per il 2014 il canone – pilastro della Rai attuale, certo da smagrire, riorganizzare, svegliare, rendere competitiva, più capace di produrre in proprio, ecc. – non è aumentato di un cent, che per la lotta all’evasione crescente non si fa nulla di nulla, che la nostra distanza dal resto delle radiotelevisioni europee si fa abissale. Soprattutto per quanto il dato strategico dell’autonomia dell’azienda pubblica da governi e partiti. In Italia, dopo la legge-killer Gasparri, stiamo a zero, mentre monta con la marea delle chiacchiere una strana cortina fumogena.

Ps: mi si permetta una civetteria, si torna a parlare di una rete Rai senza spot. Se si va a cercare negli archivi della Rai e dell’Authority si troverà il progetto per la Nuova Rai Tre (NRT) presentato ufficialmente all’Agcom, presidente Enzo Cheli, dal consiglio presieduto da Roberto Zaccaria nella primavera del 1998. Doveva servire – in base alla legge Maccanico – a mandare a satellite Rete4 e a concedere a Europa7 le frequenze alle quali aveva diritto. E’ rimasta lì. Però il progetto esiste, bell’e pronto e soltanto da aggiornare.

Fonte: www.articolo21.org

17 giugno 2014

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