Domenica di sangue a Karachi
Emanuele Giordana
Oltre cinquanta morti tra l’assalto allo scalo di Karachi e l’ennesimo attentato settario contro pellegrini sciiti. Il negoziato coi talebani è fallito?
A 24 ore dall’ultima strage pachistana avvenuta poco dopo la mezzanotte di domenica all’aeroporto internazionale di Karachi, le vittime sono salite a 29 e i feriti si contano a decine. Ma non è l’unica cattiva notizia che arriva dal Pakistan, anche se la rilevanza dell’obiettivo focalizza l’attenzione sull’attacco armato allo scalo intitolato ad Ali Jinnah, il fondatore del Paese dei puri: altre 24 persone sono state infatti uccise, sempre domenica, in un ristorante a Taftan, città al confine con l’Iran, dove un kamikaze si è fatto esplodere all’interno del locale e altri tre hanno sparato a raffica sui passeggeri di un autobus, aggiungendo nuove vittime alle ripetute stragi consumate ai danni di pellegrini sciiti, minoranza nel Pakistan sunnita oggetto di una vera e propria persecuzione settaria.
Un Paese sbigottito davanti a tanta furia omicida si interroga, per strada o dalle colonne dei giornali, sul senso di un negoziato con gli islamisti radicali del Tehrek-e-Taleban Pakistan (Ttp) iniziato da oltre quattro mesi ma costellato di violenze di cui l’attacco all’aeroporto non sembra certo l’ultimo capitolo. Per gli scettici è anzi la conferma che con i miliziani di Dio non si può trattare.
La ricostruzione della dinamica è ricca come sempre di notizie a volte molto diverse tra loro, ma quella che appare come la più attendibile racconta di una messa in scena con abiti delle guardie di sicurezza, indossate dai talebani per entrare nell’aeroporto accompagnati da passi falsificati. I terroristi erano una decina e hanno attaccato in due punti allo scopo, come ha poi spiegato un messaggio del Ttp, di distruggere un certo numero di aerei per vendicare la morte del loro capo Hakimullah, ucciso mesi fa da un drone, e per rispondere ai raid aerei e di terra messi a segno dall’esercito del Pakistan nelle ultime settimane. Impadronitosi di due aree, tra cui un vecchia zona dell’aeroporto adibita all’accoglienza dei Vip e a operazioni logistiche per i cargo, il commando avrebbe iniziato a far fuoco cercando di mettere in atto il piano per cui era stato preparato un vero arsenale di bombe. Tre di loro si sono fatti esplodere, gli altri sette sono stati uccisi dalla sicurezza che ha però pagato un prezzo altissimo per isolare (in sei ore) il commando. Quel che è certo, secondo tutti gli osservatori, la polizia e l’intelligence, è che il piano era tanto organizzato quanto complesso e,secondo alcune fonti, sarebbe stato preparato, con l’aiuto di esperti stranieri, addirittura prima dell’inizio del negoziato di pace che risale, tra continui “stop and go”, a fine gennaio.
La rivendicazione talebana arrivata ieri non chiarisce comunque le dinamiche interne alla vasta galassia jihadista. Tanto per cominciare il consiglio (shura) talebano del Nord Waziristan che fa capo ad Hafiz Gul Bahadur (clan waziri dei Madda) ha esteso la tregua col governo di altri venti giorni. E’ una fazione “talebana” che non sempre si riconosce nelle scelte del Ttp (ombrello di formazioni locali non del tutto omogenee) e che è più favorevole alla trattativa. Di fatto nel Ttp le faide stanno aumentando: mullah Fazlullah, il capo eletto dopo la morte di Hakimullah, ultimo leader meshud (una tribù molto importante del Waziristan), ha dovuto recentemente affrontare una scissione: un gruppo capitanato da Khan Said Sajna (un meshud) ha accusato Fazlullah di aver tradito la causa ma, a quanto si dice, il dissidio riguarderebbe proprio la strategia nei confronti della trattativa col governo cui Sajna sarebbe più favorevole (il suo gruppo si chiama Tehrek Taleban Sud Waziristan). Ma lo stesso capo meshud ha i suoi guai con un parente, Sheryar Mehsud, con cui proprio recentemente è scoppiata una faida armata. L’effetto delle prese di distanza avrebbe portato Fazlullah (anche noto come mullah Radio per le sue trasmissioni radiofoniche e famoso per la conquista della valle di Swat poi ripresa dal governo) a stingere i ranghi. L’attentato allo scalo potrebbe essere un segnale del fallimento del negoziato ma anche di contraddizioni in seno ai talebani che sembrano produrre una cesura che, a colpi di kalashnikov, potrebbe essersi approfondita proprio con l’inizio del negoziato.
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Fonte: www.lettera22.it
10 giugno 2014