Libia, intervento malnato
Nigrizia.it
Che fine ha fatto la Libia? Se ne parla sottovoce e in maniera sbrigativa. Diversi sono i gravi sintomi del crollo dello stato.
Eppure la gravissima crisi che attraversa il paese da quando la Nato lo ha “liberato” da Gheddafi nell’ottobre 2011, merita un adeguato monitoraggio per rendere conto all’opinione pubblica delle conseguenze di quell’intervento “umanitario” sul futuro della Libia e anche dell’Africa.
Osservatori geopolitici servizievoli ci raccontano timidamente da due anni che il caos post-“rivoluzione” è inevitabile e che il paese si sta riorganizzando su solide basi democratiche. In realtà l’intervento Nato ha avuto tre conseguenze: il fallimento dello stato, il crollo dell’economia e del welfare e la spaccatura della nazione.
Diversi sono i gravi sintomi del crollo dello stato: l’assalto avvenuto diversi mesi fa al parlamento e a vari ministeri; il recente (temporaneo) rapimento del primo ministro libico; i costanti attentati alle ambasciate straniere, ultimi sono stati quelli contro le ambasciate svedese e finlandese (quella russa fu letteralmente invasa dai ribelli), motivo per cui la rappresentanza diplomatica di vari paesi ha disertato la Libia.
Sul versante economico, da ricco esportatore di petrolio – che dispone di una delle più grandi riserve dell’Africa – la Libia negli ultimi tempi è stata costretta a volte ad importare oro nero per far fronte ai propri bisogni. Numerosi impianti petroliferi sono sotto controllo di milizie legate a tribù locali e a gruppi jihadisti di ogni genere che percepiscono una specie di pizzo dallo “stato” in cambio del funzionamento a singhiozzo degli impianti.
Ma una delle più gravi conseguenze della guerra contro la Libia è il dilagare dell’islam jihadista radicale. Una deriva prevedibile visto che la Nato, nel far fuori Gheddafi, si è avvalsa dell’aiuto dei jihadisti, in particolare di quello qaidista del Gruppo combattente islamico della Libia (Lifg). A causa di questa miope strategia, la Libia da paese laico è diventata un’importante centrale del jihadismo che sta estendendo la sua egemonia verso il Maghreb e il Sahel.
Riguardo alla coesione nazionale, è da più di un anno che la regione Fezzan ha dichiarato (ma ancora sulla carta) la sua autonomia. Lo scorso aprile la Cirenaica – la più ricca in petrolio – aveva fatto la stessa cosa e ultimamente ha fatto ulteriori passi verso l’obiettivo ancora non dichiarato: la secessione. Il 25 ottobre, Berga (nome arabo della Cirenica) ha dichiarato ufficialmente la sua autonomia, istituendo un governo composto da 25 ministri e dotandosi di una nuova bandiera: mezzaluna e stella bianche su uno sfondo completamente nero che richiama in qualche modo quella di Al-Qaida e dei salafiti.
La recente azione autonomista è stata messa in atto dal movimento “federalista” guidato da Ibrahim al-Jadhran. Quest’ultimo, dopo aver combattuto contro Gheddafi nelle file del Lifg al fianco del noto jihadista Abdelhakim Belhadj, era diventato per un periodo responsabile della sicurezza degli impianti di petrolio nell’est del paese. Ma sulla Cerenaica gli islamisti litigano già tra di loro. Quelli “moderati” della tribù dei Senoussi, molto influenti in questa regione, rifiutano il ruolo di al-Jadhran, considerato troppo vicino ad Al-Qaida.
Resta il fatto che i jihadisti costituiscono una forza militare tale da poter imporsi ai “moderati”. La loro latente presenza nella regione risale a decenni fa (nel 1996 un’insurrezione islamista appoggiata dai servizi segreti occidentali fu violentemente repressa da Gheddafi). Oggi sono i padroni della regione e controllano anche il traffico di armi e droga e soprattutto quello dell’immigrazione irregolare.
Proveniva dalla Libia il barcone naufragato nei pressi di Lampedusa all’alba del 3 ottobre causando la morte di diverse centinaia di migranti. In assenza di uno stato sovrano in Libia, il governo italiano si sta preparando a controllare le frontiere dell’est e del sud. E a tal riguardo lo storico del colonialismo, Angelo Del Boca in una recente intervista al Manifesto ha dichiarato: «Lo stato maggiore italiano della Guardia di finanza e della Guardia costiera ha firmato un accordo con le autorità libiche (quali?) per il pattugliamento congiunto dei porti della Libia. Viene da chiedere: con quali milizie, con quali leader jihadisti abbiamo firmato questo incredibile patto, a chi abbiamo promesso denaro italiano per fermare militarmente i disperati che fuggono con le bagnarole nel Mediterraneo?».
di Mostafa El Ayoubi
Fonte: www.nigrizia.it
16 Dicembre 2013