Le “cinque italiane di Somalia” ci ricordano un continente cancellato dai nostri media


Elisa Marincola


Un titolo scarno, che ben raffigura cinque vite di donne dedicate all’essenziale della propria umanità: l’Altro declinato in tutti i suoi aspetti, anche quello dell’informazione.


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ilariasomala

Un titolo scarno, che ben raffigura cinque vite di donne dedicate all’essenziale della propria umanità: l’Altro declinato in tutti i suoi aspetti, anche quello dell’informazione. E’ il tema dell’incontro organizzato dalla sezione del Lazio dell’Unione Cattolica Stampa Italiana. Appuntamento alla sede della FNSI, A Roma, giovedì 31 ottobre alle 11. Ma non rivolto solo agli appassionati d’Africa, o ai credenti che così possono celebrare sotto altra forma la Giornata Missionaria Mondiale, da poco passata. E nemmeno solo alle donne che vogliono giustamente ricordare queste grandi rappresentati del loro genere.

Queste cinque italiane, prima di tutto, hanno testimoniato la loro fede nell’altro e nella pace con la loro vita e pagando il loro impegno con la loro vita. Ma queste cinque storie, diverse per età, esperienze, campi di lavoro, riscattano anche le responsabilità dell’Italia verso una terra, il Corno d’Africa in generale e in particolare la Somalia, occupata, sfruttata nelle sue risorse e nelle sue braccia, trasformata in discarica, violentata per i fini più abietti, e poi dimenticata.

La volontaria forlivese Annalena Tonelli, suor Leonella Sgorbati, Graziella Fumagalli, medico, la crocerossina Maria Cristina Luinetti e, non ultima, la giornalista Ilaria Alpi (nella foto), la “nostra” Ilaria Alpi, italiane di nascita, hanno finito per essere, anche con orgoglio, “somale” di adozione per la terra che hanno amato e il loro ricordo ripercorre pagine degli ultimi 20 anni di storia, spesso ancora oscura,  della Somalia ma anche dell’Italia.

Venti anni passati, cancellati dalla nostra memoria, come è cancellato anche il presente di quelle terre e di un intero continente, che ricompare nel nostro racconto mediatico solo per eventi violenti, come gli eccidi di cristiani in Nigeria, o sfiorato se a morire nei nostri mari è qualche centinaio di migranti, tuttora colpevoli per le nostre leggi del reato di clandestinità (reato estinto solo per i morti). O, ovviamente, se ad essere coinvolto in qualche evento traumatico è un occidentale, meglio se italiano. Una dimenticanza, anzi indifferenza, cresciuta in misura esponenziale negli ultimi mesi, a cui queste cinque donne hanno opposto la propria passione ma anche un impegno lucido, razionale, che, fino a che è stato loro possibile, ha fatto la differenza, cambiando l’esistenza delle persone e risvegliando la cattiva coscienza dell’Occidente. A cominciare proprio da Ilaria Alpi, che con le sue corrispondenze ma anche con l’assassinio suo e del cameraman Miran Hrovatin, ha reso noto, anche se non ha potuto provarlo fino in fondo, a tutta l’Italia il traffico di rifiuti tossici verso quella terra. Un traffico e un assassinio mai chiariti, mai puniti, come quasi tutte le stragi italiane.

Senza figure come Ilaria, senza dei giornalisti disposti ad andare fino in fondo per chiarire i fatti più oscuri, anche rischiando in prima persona, la guerra civile degli anni ‘90 in Somalia sarebbe stata raccontata come mera cronaca africana, uno dei tanti piccoli conflitti di un continente riprodotto come “oscuro” più che nero, quasi da cartolina di inizio Novecento. Giornalisti come Ilaria non se ne contano molti e, in più, i nostri direttori ed editori, lo sappiamo,  sono troppo impegnati a seguire le curve di copie vendute, contatti Auditel o pagine visitate, o a riportare il più fedelmente possibile l’ultima battuta dell’ultimo politico o esponente di governo, o l’ultimo fatto di cronaca nera nei suoi recessi più privati e sconnesso dal prima, dal perché, da quella storia della notizia indispensabile per capirne il senso.

Ma se non si può pretendere da nessuno, ancor meno dalla nostra categoria, purtroppo tanto squalificata agli occhi del pubblico, il sacrificio estremo di rischiare la vita per denunciare i mali del mondo, dovremmo però almeno mettere in gioco un po’ delle nostre energie quotidiane e, al sicuro dietro le nostre postazioni di lavoro, pretendere l’attenzione dei nostri capi quando proponiamo di parlare di Africa e di Africani. Non è detto che  sfonderemmo il muro di gomma, ma provarci a noi costa davvero poco, e, non piegando troppo la schiena, ci risparmieremmo qualche attacco di sciatica. Davvero nulla in confronto al sacrificio di queste cinque, bellissime Italiane di Somalia.

Fonte: www.articolo21.org
30 ottobre 2013

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