30 x 30: Art. 29 “Responsabilità sociale”


La redazione


Oggi, lunedì 8 dicembre 2008, leggiamo insieme il ventinovesimo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Segue il commento del prof. Antonio Papisca.


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30 x 30: Art. 29 “Responsabilità sociale”
30 giorni x 30 articoli
Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Art. 29
“Responsabilità sociale”

La Tavola della pace rinnova l’appello ai direttori dei TG della RAI:
bastano pochi secondi al giorno nei TG

Oggi, lunedì 8 dicembre 2008, leggiamo insieme il ventinovesimo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 29 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

“1. Ogni individuo ha doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
2. Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.
3. Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite”.

Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“Il penultimo Articolo della Dichiarazione universale ricorda agli individui che ai loro diritti fondamentali corrispondono altrettanti doveri non meno fondamentali. L’ultimo Articolo, il 30, farà lo stesso discorso in punto di obblighi agli Stati.
Nelle conferenze pubbliche che mi capita di fare, c’è spesso qualcuno che al termine obietta: lei ha parlato soltanto di diritti, dovrebbe parlare anche dei doveri, anzi dovrebbe parlare prima dei doveri e poi dei diritti.
La mia risposta, ovviamente, è che diritti e doveri sono le due facce di una stessa medaglia che si chiama: responsabilità personale e sociale della persona. Ciascuna persona, in quanto soggetto titolare, in via originaria, di diritti fondamentali, è radice di legge fondamentale, dunque grembo, pro quota, di sovranità popolare.
La consapevolezza di avere doveri verso gli altri e verso la comunità di appartenenza nel suo insieme, combacia con la consapevolezza di essere noi, ciascuno di noi, legge fondamentale. Il ‘soggetto’ destinatario dello Ius positum universale dei diritti umani è quello con le caratteristiche lumeggiate dal personalismo comunitario: non è insomma l’individuo isolato ed egoista. La legge impone “obblighi”, l’educazione fa emergere i “doveri” da declinare, concretamente, quotidianamente, con assunzione di responsabilità nel perseguire i beni personali nel più ampio contesto del bene comune a livello locale, nazionale, mondiale. Il riferimento alla comunità mondiale è reso esplicito nel terzo comma dell’Articolo 29: i principi e i fini delle Nazioni Unite sono indicatori di bene comune universale, da perseguire all’interno delle strategie, fra loro interconnesse, di ‘sviluppo umano’ e di ‘sicurezza umana’.
Nel contesto dei diritti umani, doveri-obblighi-responsabilità si collegano al tema della cittadinanza e dei relativi diritti. E’ difficile pretendere l’adempimento di doveri da parte di coloro ai quali non sono riconosciuti diritti: per esempio, nel caso degli immigrati regolarmente residenti in Italia, lavorare e pagare le tasse, ma senza diritto di elettorato attivo e passivo.
Il secondo comma parla di restrizioni che possono porsi all’esercizio dei diritti dei singoli. Esse sono legittime in casi eccezionali, se si tratta di salvaguardare gli altrui diritti e libertà fondamentali e di soddisfare le esigenze della morale e dell’ordine pubblico nonché il benessere generale in una società democratica. I diritti fondamentali della persona figurano nell’elenco della Dichiarazione universale, delle successive Convenzioni giuridiche, nella Costituzione Italiana: per la loro individuazione non si pongono problemi. Più delicato è l’accertamento delle “esigenze” pubbliche e la valutazione della loro “giustezza”. Delicato, perché tale compito spetta allo Stato e ai suoi “poteri”: legislativo, esecutivo, giudiziario. E’ di tutta evidenza che si tratta di un’operazione la cui legittimità sostanziale è direttamente proporzionale alla democraticità dei regimi e alla specifica competenza e sensibilità dei governanti e di quanti esercitano funzioni pubbliche. E’ lo stesso Diritto internazionale a porre dei paletti. Si deve essere in presenza di circostanze di eccezionale gravità: catastrofi naturali, dimostrazioni di massa violente, incidenti industriali di portata maggiore (per esempio, con emissione di sostanze altamente tossiche), tali da costituire, come recita l’Articolo 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, “pericolo pubblico eccezionale che minacci l’esistenza della nazione” (quindi, non semplice ‘pericolo pubblico’). In queste circostanze gli Stati possono adottare misure che comportano la sospensione temporanea delle garanzie di alcuni diritti fondamentali, a condizione che ciò sia deliberato con ‘atto ufficiale’ (dunque, trasparenza) e che non comporti la violazione del principio di non-discriminazione.
Il citato Articolo 4 (v. anche l’omologo articolo 15 della Convenzione europea sui diritti umani del 1950) portante sui cosiddetti “stati d’eccezione”, stabilisce che la garanzia di alcuni diritti fondamentali è assolutamente inderogabile, neppure temporaneamente: diritto alla vita, divieto di tortura, di schiavitù, di discriminazione, irretroattività della legge penale, riconoscimento della personalità giuridica. Inderogabili sono anche i diritti alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione,  riconosciuti dall’Articolo 18 della Dichiarazione universale. A proposito di questi diritti, è il caso di sottolineare che quanto attiene alla costruzione di una moschea o di altro tempio religioso rientra, in via principale, nella sfera d’applicazione dell’Articolo 18 della Dichiarazione, non dell’Articolo 4 del Patto internazionale.
Il Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite, esercitando la sua funzione di interprete autentico dell’Articolo 4 del Patto, parla al riguardo di obblighi che hanno la natura di norme perentorie (peremptory norms) di Diritto internazionale generale. Lo Stato che voglia avvalersi di questa facoltà di deroga deve informarne il Segretario Generale delle Nazioni Unite sui motivi e sulla presunta durata della deroga. Presso le Nazioni Unite è consultabile un apposito registro nel quale figurano i vari ‘stati d’eccezione’ in atto: la pubblicità come garanzia.
Siamo in presenza di una norma internazionale che tenta di mettere insieme i diritti innati della persona e la sovranità degli stati, con una intrinseca illogicità: se per i diritti umani vale, tra gli altri, il principio della loro interdipendenza e indivisibilità, non si vede come sia possibile discriminare fra diritti tutti egualmente fondamentali…
Un aspetto interessante riguarda l’inderogabilità assoluta del diritto alla vita. Il citato Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite ha affermato che l’inderogabilità di certi diritti, tra i quali appunto il diritto alla vita, vale anche nei conflitti armati: saltando qualche passaggio, c’è qui la conferma che la guerra è vietata e che la pena di morte deve essere parimenti vietata.
Certamente delicato è anche l’accertamento della morale pubblica, una materia sulla quale bisogna procedere avendo in mente il concetto di laicità quale indicizzata da “tutti i diritti umani per tutti”, compresi dunque i diritti rafforzati dei soggetti più vulnerabili a cominciare da quelli dei bambini. Nella misurazione della moralità pubblica, deve pertanto tenersi conto del principio del “superiore e migliore interesse del bambino” quale principio generale di qualsiasi ordinamento.
Anche e soprattutto per questa delicatissima materia dei limiti ai diritti fondamentali della persona, si rende necessario integrare le funzioni dei tradizionali organi di garanzia (magistratura ordinaria e costituzionale) con quelle delle cosiddette Istituzioni Nazionali per i Diritti Umani: Commissione Nazionale, Difensore Civico Nazionale, Garante Nazionale dei Diritti dell’Infanzia, secondo i principi stabiliti dalle Nazioni Unite (in particolare, indipendenza dall’Esecutivo). Questi organi hanno il compito di sorvegliare la situazione dei diritti umani, fornire consulenza al governo e al parlamento, avanzare proposte di miglioramento della legislazione e degli strumenti di garanzia, rendere più efficace l’intero sistema di garanzie mediante l’esercizio di funzioni di prevenzione delle violazioni e di tutela, per via extra-giudiziaria, dei diritti dei cittadini nelle loro controversie con le pubbliche amministrazioni.
Anche e soprattutto per l’esercizio delle funzioni d’autorità delle pubbliche istituzioni si rende indispensabile l’educazione e l’addestramento del relativo personale per il rispetto e la garanzia dei diritti umani: dai funzionari civili ai militari, dai magistrati ai poliziotti.
Naturalmente, l’incipit sta nei programmi di educazione civica, in ambito sia scolastico che extra-scolastico.”

Antonio Papisca
Cattedra UNESCO “Diritti umani, democrazia e pace” presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova (antonino.papisca@unipd.it).

Tutte le attività promosse in vista del 10 dicembre sono pubblicate sul sito: www.perlapace.it.

Perugia, 8 dicembre 2008

Ufficio Stampa Tavola della pace
Floriana Lenti 338/4770151
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