Yemen: l’era Saleh ai titoli di coda
Michele Giorgio, Il Manifesto
“Ali Abdallah Saleh ha negato di voler dare al più presto le dimissioni e ha lanciato accuse durissime all’opposizione, ma i suoi giorni sulla poltrona di presidente dello Yemen sembrano essere (finalmente) contati”.
Ali Abdallah Saleh ha negato di voler dare al più presto le dimissioni e ha lanciato accuse durissime all'opposizione, ma i suoi giorni sulla poltrona di presidente dello Yemen sembrano essere (finalmente) contati.
Fonti del governo ieri davano per imminente un accordo che da un lato dovrebbe mandarlo subito a casa e dall'altro gli salvarebbe la faccia, evitandogli l'umiliante uscita di scena toccata nei mesi scorsi al tunisino Ben Ali e all'egiziano Mubarak. Il ministro degli esteri yemenita Abubakr al-Qirbi ieri mattina ha detto all'agenzia Reuters di sperare in un'intesa e un calendario «nelle prossime ore» sulla transizione dei poteri in Yemen. E' la prima volta che il governo yemenita fa riferimento alle dimissioni di Saleh e a Sanaa dicono che il presidente, stretto alleato di Washington e al potere da 32 anni, si è finalmente convinto di dover lasciare la carica. Una decisione frutto delle defezioni avvenute nei ranghi delle forze armate e nel corpo diplomatico, cominciate dopo la strage della scorsa settimana nella capitale: oltre 50 dimostranti uccisi dalle forze di sicurezza e dai miliziani del regime durante un raduno popolare. Le indiscrezioni sulle scelte che si preparerebbe a compiere Saleh giungono mentre il sud del paese è sempre più fuori controllo.
Dopo le continue manifestazioni dei secessionisti ad Aden e in altre città meridionali, ieri è stata la volta dei qaedisti di entrare in azione. Uomini di «al Qaeda nella penisola araba» hanno circondato e attaccato una residenza presidenziale e la sede della radio locale nel distretto di Jiar, nella provincia di Abyan, una roccaforte dell'organizzazione radicale islamica in Yemen. Poco dopo altri qaedisti hanno preso di mira un'unità dell'esercito nella stessa zona e sei di loro sono stati uccisi dai militari. «Militanti di al Qaeda hanno sferrato un attacco contro un'unità dell'esercito in servizio presso una centrale elettrica a Loder. I militari hanno risposto al fuoco, uccidendo sei assalitori», ha comunicato un portavoce del governo. Ma l'attacco deve essere stato particolarmente intenso se è entrato in azione anche un jet militare che ha sganciato un missile contro gli assalitori.
Secondo il Washington Post, giornale vicino all'amministrazione Usa, i qaedisti starebbero preparando una serie di attacchi in Yemen, paese dove negli ultimi 18 mesi gli Stati uniti hanno inviato decine di agenti della Cia e di militari delle forze speciali a fianco ai soldati yemeniti.
Sul «pericolo dell'integralismo islamico», Saleh e il suo entourage hanno puntato molto nelle ultime settimane, allo scopo di conservare il pieno sostegno americano ed occidentale. Ma la coperta si è rivelata ben presto corta e il presidente sa che non potrà ottenere di più di una uscita di scena onorevole. Venerdì, rivolgendosi ai suoi sostenitori, aveva posto come condizione il desiderio di lasciare il potere in «mani sicure». Si riferiva con ogni probabilità al figlio Ahmed, che comanda la Guardia repubblicana, e al nipote Yahia, capo delle forze di sicurezza. Ma si tratta di due esponenti del regime particolarmente odiati dalla popolazione e, quindi, inaccettabili. L'opposizione yemenita da parte sua butta acqua sul fuoco del compromesso politico dato per imminente dal governo. «Ci sono ancora molte cose da chiarire e programmare, le differenze con il regime sono tante e il gap rimane ampio», ha avvertito Yassin Noman, capo della leadership a rotazione dell'opposizione. «Vogliamo l'avvio di una reale transizione democratica e non soltanto qualche cambiamento di facciata che lasci in piedi l'attuale regime», ha aggiunto.
Stando alle indiscrezioni che circolano a Sanaa, Saleh vuole la certezza che, quando avrà lasciato il potere, non verrà messo sotto inchiesta dalla magistratura yemenita. E garanzie simili le avrebbe chieste anche per il suo clan familiare. Come Mubarak e Ben Ali, anche il presidente yemenita avrebbe accumulato in tutti questi anni, in gran parte dei casi con operazioni illecite, una fortuna notevole (nascosta pare in banche estere) che l'opposizione vorrebbe riportare nella mani del popolo yemenita.
Fonte: www.ilmanifesto.it
27 marzo 2011