West Bank e Gaza. La crisi è anche umanitaria
Federica Ramacci
Nella settimana dal 19 al 25 agosto 2014, 79 palestinesi sono stati feriti dall’esercito israeliano nella West Bank, tra cui 23 bambini e una donna. Federica Ramacci ne parla con Ramesh Rajasingham, capo dell’OCHA.
Secondo gli ultimi dati della Nazioni Unite, nella settimana dal 19 al 25 agosto 2014, 79 palestinesi sono stati feriti dall’esercito israeliano nella West Bank, tra cui 23 bambini e una donna. L’utilizzo di proiettili veri (live ammunition) da parte dell’esercito israeliano ha causato la maggior parte dei feriti, dopo le pallottole ricoperte di gomma e i gas lacrimogeni. Lo scorso 22 di agosto, un ragazzo di 14 anni è morto in seguito alle ferite da arma da fuoco riportate durante una manifestazione di protesta contro l’offensiva israeliana a Gaza, nei pressi del checkpoint di Beit Furik (Nablus). Nel corso della stessa manifestazione l’esercito israeliano ha ferito con “live ammunition” altre 8 persone, tra cui 4 bambini, uno dei quali di 9 anni. Dall’inizio dell’operazione militare “Protective Edge” sono state 20 le vittime palestinesi in West Bank, 3 erano bambini. Dal 19 al 25 di agosto l’esercito israeliano ha demolito 11 case nell’Area C lasciando senza dimora 54 palestinesi ed ha portato a termine 96 incursioni militari in varie città della West Bank finalizzate all’arresto di palestinesi (dall’inizio di giugno 2014 più di 2.000 palestinesi sono stati arrestati). Si tratta di numeri che pur mostrando un notevole aumento della tensione in West Bank nei giorni dell’operazione militare israeliana a Gaza, descrivono la normalità della vita quotidiana dei palestinesi. Ne abbiamo parlato con Ramesh Rajasingham (nella foto), capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Occupati Palestinesi (OCHA).
Avete registrato un aumento della tensione nella West Bank legato all’operazione militare israeliana a Gaza?
Si certamente. Giugno, luglio e agosto sono stati mesi molto difficili nella West Bank. Le persone con cui abbiamo parlato ci hanno detto che non si vedeva un tale livello di tensione e violenza da molto tempo. Ci sono state in media 50 persone ferite in più rispetto allo stesso periodo nell’anno passato. E’ un numero molto alto. Allo stesso tempo il numero di vittime nella West Bank è cresciuto del 40% rispetto allo stesso periodo nell’anno passato.
I palestinesi sono rimasti feriti durante le manifestazioni di protesta nella West Bank? Che tipo di armi hanno causato feriti e vittime?
Si soprattutto nelle manifestazioni di protesta contro la guerra a Gaza, oltre a qualche caso di attacco individuale isolato. Stiamo notando negli ultimi mesi un utilizzo sempre maggiore di “live ammunition” (proiettili veri) da parte dell’esercito israeliano oltre ai lacrimogeni. Molte delle vittime e dei feriti sono stati causati proprio da questo tipo di arma.
Chi sono i palestinesi che partecipano alle manifestazioni nella West Bank? Sono soprattutto giovani?
Ci sono molti giovani e bambini tra le vittime e i feriti di queste proteste. Manifestano perché c’è una perdita della speranza, anche nelle più piccole aspirazioni per un futuro migliore, un futuro normale che io o te daremmo per scontato. Perché ci sono enormi restrizioni qui nella West Bank, a Gaza c’è una grande sofferenza della popolazione e i palestinesi qui si sentono vicini a chi vive nella Striscia di Gaza. C’è un grande senso di frustrazione e di perdita della speranza.
Quali sono le maggiori criticità nella West Bank? Come le descriverebbe a chi conosce poco questo territorio?
Direi che come organizzazione umanitaria noi non dovremmo essere qui. Io non dovrei essere qui. Ci sono altre crisi che hanno bisogno di noi, paesi comela Somalia, il Darfur, l’ Afghanistan. La popolazione palestinese è molto motivata, molto organizzata e con un alto livello di istruzione, dovrebbe sicuramente trovarsi in un contesto sviluppato non in un contesto di crisi umanitaria. Non avrebbero bisogno del nostro supporto se potessero essere liberi di coltivare le loro terre, liberi di pescare nel mare di Gaza, se potessero costruire case e industrie nell’area C della West Bank, che e’ la maggior parte del territorio occupato. Ma non possono costruire in quest’area senza il permesso di Israele e questo permesso è quasi impossibile da avere per i palestinesi. E nello stesso tempo c’è un aumento massiccio delle colonie. E’ una perdita della dignità per un popolo che ha sempre avuto dignità, che non aveva bisogno di noi e che é sempre stato capace di pensare a se stesso. Oggi hanno bisogno di noi perché hanno perso accesso alle terre, gli ulivi sono stati distrutti o i coloni hanno distrutto i loro terreni, non possono provvedere al sostentamento delle loro famiglie. E’ una crisi artificiale, opera dell’uomo. Se non ci fossero simili restrizioni non ci sarebbe bisogno di noi qui.
E’ difficile per voi lavorare qui?
E’ difficile lavorare in qualunque contesto di crisi umanitaria. Ci sono problemi di movimento per le merci a Gaza e per lo staff palestinese che deve arrivare a Gaza. Ci sono restrizioni anche per noi ma non sono nemmeno paragonabili a quelle che vivono i palestinesi ogni giorno.
A Gaza è in corso una gravissima crisi umanitaria. Quali sono oggi le maggiori criticità per la popolazione?
Credo che questa sia la peggiore guerra che Gaza ha subito negli ultimi anni, sicuramente peggiore dell’operazione “Cast Lead” nel 2008 – 2009. Sono oltre 16.000 le case totalmente distrutte o impossibili da riparare e 100.000 persone che non hanno più una casa, un posto dove tornare. Ci sono altre 300.000 persone che hanno lasciato le case perché danneggiate e perché hanno paura di tornarci, non le considerano sicure. Se anche decidessero di tornarci non avrebbero l’acqua perché il sistema idrico è stato distrutto e non avrebbero elettricità perche le linee elettriche sono state distrutte. I civili di Gaza hanno sofferto sicuramente più di tutti in questa guerra, centinaia di migliaia di persone. Più di 2.000 persone sono state uccise, 495 bambini. Più di 3.000 bambini sono stati feriti, di questi 1.000 avranno disabilità permanenti. Questa è stata una guerra contro i bambini per tanti versi. Quello che noi chiediamo è il rispetto del diritto internazionale da entrambe le parti, non colpire civili e non sparare da aree civili.
Quali sono i primi provvedimenti che prenderete nella Striscia di Gaza?
Abbiamo già cominciato con i primi passi necessari. Siamo presenti in tutte le municipalità con il nostro team per capire le necessità primarie della popolazione, acqua, sanità, riparo, protezione. Stiamo oggi analizzando la situazione e speriamo già a settembre di avere un quadro chiaro e completo di quali sono le necessità della popolazione. Ma l’intervento umanitario non è una soluzione. La soluzione è la fine della violenza, l’apertura dei valichi di Gaza, la fine del blocco e permettere alla popolazione di Gaza di provvedere a se stessa. Nel 2000 solo il 10% della popolazione di Gaza aveva bisogno di aiuto umanitario, oggi è l’80%.
Aprire i valichi di Gaza è secondo voi la principale necessità oggi?
Assolutamente. Aprire i valichi e mettere fine alla violenza. Permettere alla popolazione di Gaza di muoversi liberamente e alle merci di entrare e uscire, per creare un mercato legale, avere una vita normale e poter badare a se stessi.
Per maggiori informazioni http://www.ochaopt.org/
Fonte: http://www.atlanteguerre.it
6 settembre 2014