Vogliamo fingere di non aver sentito?
Flavio Lotti
Possiamo fingere di non aver sentito. E continuare imperterriti per la nostra strada. Così come facciamo ogni volta ci sentiamo importunati da qualcuno che ci chiede l’elemosina.
Possiamo fingere di non aver sentito. E continuare imperterriti per la nostra strada. Così come facciamo ogni volta ci sentiamo importunati da qualcuno che ci chiede l’elemosina. Possiamo fingere di non aver sentito e trattare il Papa con lo stesso fastidio che ci ha provocato l’ultimo degli accattoni. Oppure possiamo prendere sul serio le sue parole e cercare di cambiare. Cosa ci ha detto ieri il Papa?
Primo. Che dobbiamo recuperare la nostra sensibilità umana. L’abbiamo persa in troppi anni passati a rincorre i soldi, il successo, il nostro tornaconto. Abbiamo perso la nostra capacità di reagire davanti al dolore degli altri. A Lampedusa il Papa ci ha indicato il popolo dei migranti. Ma attraverso di loro ci ha indicato tutta quell’umanità, vicina e lontana, che resta prigioniera della miseria, della disperazione, della guerra e dell’oppressione. Fintanto che, di fronte alle tragedie che passano in televisione, non riusciremo a recuperare la nostra capacità di piangere, di provare dentro un brivido di dolore, di compassione, di solidarietà e di sana rabbia contro tutte le ingiustizie che uccidono, continueremo a essere parte del problema.
Secondo. Che dobbiamo essere capaci di chiedere perdono. Cioè che dobbiamo riconoscere quello che siamo: corresponsabili. Perché viviamo in un tempo in cui non ci è più consentito dire “non lo sapevo”. Perché troppi drammi scorrono sotto i nostri occhi senza che li degniamo di uno sguardo. Non siamo più abituati a chiedere perdono perché esistiamo solo noi, perché ci autoassolviamo da ogni colpa, perché il nostro io troneggia in ogni dove. Ma se non troveremo il coraggio di chiedere perdono per quello che è accaduto sino ad oggi non riusciremo nemmeno a fare i conti con le nostre responsabilità di domani.
Terzo. Che dobbiamo cambiare concretamente certi atteggiamenti. Cioè che dobbiamo prendere cura l’uno dell’altro, che dobbiamo imparare a custodirci gli uni gli altri, che dobbiamo custodire tutto quello che Dio ha creato per tutti: l’aria, l’acqua, la natura, gli animali, le risorse naturali. Perché “ciò che è accaduto non si ripeta” è necessario un cambiamento di obiettivi, di priorità. Papa Francesco indica il metodo della solidarietà della piccola Lampedusa ma non dimentica di puntare il dito contro “coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo.” Come a dire che ciascuno di noi, nel suo piccolo, deve fare la sua parte all’insegna dell’empatia, dell’accoglienza e della condivisione. Ma che poi, tutti insieme, dobbiamo andare alla radice dei problemi e costruire un’economia di giustizia che metta finalmente le persone al centro, che metta al bando la miseria, che riduca e non aumenti le disuguaglianze sociali, che crei lavoro e ridia piena dignità ai lavoratori di tutto il mondo. Mettersi dalla parte di chi soffre, degli ultimi, degli abitanti delle periferie, aprirsi al loro ascolto, assumere il loro punto di vista non è solo compito del Papa, della Chiesa e degli uomini di buona volontà ma anche della politica. Se chi governa le nostre istituzioni, dal quartiere all’Onu, non si (pre)occupa del disagio e del dolore delle persone di cosa si occupa?
“Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore”.
Fonte: www.sanfrancescopatronoditalia.it
10 luglio 2013