Violenza sulle donne: pandemia domestica!
L'Osservatore Romano
Il Covid-19 ha aggravato il fenomeno della violenza di genere e si sta dimostrando essere molto più che una crisi sanitaria.
La casa, le mura domestiche, le stanze in cui tutti dovremmo sentirci protetti, in pace, sono spesso il luogo dove cresce la violenza sulle donne. Le statistiche ci hanno insegnato che ad abusare delle donne sono quasi sempre i loro compagni. L’uomo, che la donna ha scelto come partner di vita si trasforma, troppo spesso e sempre più, nel suo aguzzino. È a casa che si consuma questa pandemia domestica che il covid-19 ha esasperato.
Il coronavirius si sta dimostrando molto più di una crisi sanitaria. È una crisi umana che rischia di invertire decenni di progressi in materia di diritti delle donne e uguaglianza di genere. Le donne, infatti, in tutto il mondo stanno affrontando un allarmante aumento della violenza. Mentre le misure di contenimento contribuiscono a limitare la diffusione del covid-19, le donne e le ragazze vittime di violenza domestica sono sempre più isolate da chi potrebbe aiutarle.
I numeri sono spaventosi, una donna su tre nel mondo ha dovuto subire una qualche forma di violenza fisica o sessuale dal proprio partner. E, secondo i dati delle Nazioni Unite, se prima del covid-19 243 milioni di donne e ragazze tra i 15 e i 49 anni avevano subito violenza domestica nel corso dell’ultimo anno, con la pandemia il fenomeno è cresciuto in maniera esponenziale. Gli esperti spiegano che la causa va ricercata nelle insicurezze dovute ai problemi economici, di salute e al lockdown che ha costretto alla convivenza forzata con il proprio aggressore. La desolazione del coprifuoco, imposto per arginare la diffusione del virus, che ha svuotato le strade e i luoghi pubblici, ha fatto il resto.
Dunque dall’inizio dell’epidemia da covid-19 le chiamate ai numeri di emergenza contro la violenza sulle donne si sono quintuplicati. Questa pandemia parallela ha bisogno di essere fermata con uno sforzo collettivo. «Nelle zone più violente del mondo i livelli di femminicidio, l’uccisione delle donne, sono paragonabili ad una guerra» ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne che si celebra oggi. Per questo Guterres ha chiesto «un’azione urgente e globale contro le uccisioni di genere e la violenza di genere». Sono, infatti, 137 al giorno le donne che vengono uccise da un membro della propria famiglia. Delle 87.000 donne uccise intenzionalmente nel 2017 in tutto il mondo, più della metà (50.000) sono state uccise dal partner o da un familiare. E il fatto che a esercitare violenza sia un convivente rende difficile da parte della vittima denunciare. Infatti meno del 40 per cento delle vittime cerca una qualche forma di aiuto. E non solo: nella maggior parte dei casi chi cerca aiuto si rivolge alla propria famiglia o agli amici, pochissime invece alla polizia o ai servizi sanitari. Inoltre, una donna su dieci nei Paesi dell’Ue denuncia di aver subito almeno una volta molestie sessuali online. In Medio Oriente e in Africa del Nord tra il 40 e il 60 per cento delle donne ha subito aggressioni sessuali per la strada. Un dato ci fa capire, poi, quanto il fenomeno sia trasversale: l’82 per cento delle donne parlamentari dichiara di aver ricevuto una qualche forma di violenza psicologica nel corso del suo mandato, come gesti e frasi sessiste. UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne, stigmatizza, infine, il permanere nel linguaggio comune di espressioni come “se l’è cercata” o “i ragazzi sono sempre ragazzi” che creano confusione sulla questione del consenso sessuale, incolpando i sopravvissuti e consentendo agli autori di giustificarsi. Normalizzare e giustificare la violenza sessuale, conclude l’agenzia dell’Onu «alimenta le disuguaglianze e gli atteggiamenti persistenti sul genere e sulla sessualità. Il primo passo per smantellare la cultura dello stupro è dargli un nome».
di Anna Lisa Antonucci
Osservatore Romano
26 novembre 2020