Usa fuori dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu, Israele ringrazia
Michele Giorgio
Il premier israeliano applaude alla decisione di Trump di abbandonare anche questo organismo. Continua il tentativo di demolire l’ONU e il diritto internazionale. La sintonia tra Usa e Israele è totale. Intanto nuova fiammata di guerra a Gaza.
Grazie Trump «per il coraggioso passo contro l’ipocrisia e le bugie del cosiddetto Consiglio dei diritti umani dell’Onu». Il governo israeliano di Benyamin Netanyahu ringrazia il presidente americano per la decisione di far uscire gli Usa dall’organismo delle Nazioni Unite annunciata martedì notte dal Segretario di stato Mike Pompeo e dall’ambasciatrice Usa al Pazzo di vetro Nikki Haley. Ne ha tante di ragioni Israele per ringraziare l’Amministrazione Trump impegnata in un’opera costante di demolizione delle Nazioni unite e del diritto internazionale.
Dopo gli attacchi alla funzione dell’Onu, il veto alla nomina di un palestinese (l’ex premier dell’Anp Salam Fayyad) come inviato speciale per la Libia, l’uscita dall’Unesco in appoggio alle posizioni israeliane, il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme come capitale di Israele, il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv nella città santa e l’uscita degli Usa dall’accordo sul programma nucleare iraniano, ora giunge questo nuovo “regalo”.
Per qualcuno è altro schiaffo dell’Amministrazione Usa al sistema delle relazioni internazionali, che siano organizzazioni o accordi non in linea con le priorità americane. In questo caso, come in tutti quelli elecati prima, sul tavolo non ci sono le priorità americane bensì quelle israeliane, a conferma della completa sintonia tra Washington e Tel Aviv. «Invece che occuparsi dei regimi che violano i diritti umani quel Consiglio si è ossessivamente fissato con Israele, unica vera democrazia del Medio oriente», afferma Washington. Sono le parole che hanno usato i premier israeliani tutte le volte che il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ha criticato o condannato lo Stato ebraico. Le violazioni che commette Israele, viene ripetuto, sarebbero inesistenti o comunque insignificanti rispetto a quelle che avvengono in altri paesi della regione, quindi il Consiglio dovrebbe occuparsi solo di quelle.
Colonizzazione di territori occupati militarmente, arresti arbitrari, detenzioni senza processo, confisca di terre, demolizioni di case, blocco di Gaza, uso della forza contro i civili palestinesi in corso da 51 anni a questa parte sono cose da nulla per Pompeo e Haley. Per loro il Consiglio dell’Onu è «la fogna della faziosità politica». «Prendiamo questa decisione perché il nostro impegno non ci permette di continuare a far parte di un’organizzazione ipocrita e asservita ai propri interessi che ha fatto dei diritti umani una barzelletta», ha proclamato Haley.
La decisione era nell’aria da tempo, non è una sorpresa. Washington era già uscita dal Consiglio per tre anni durante l’amministrazione di George W. Bush ma era tornata a farne parte con Barack Obama. Gelida (e inutile) la reazione del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che si è limitato a fare sapere che «avrebbe preferito che gli Stati Uniti rimanessero nel Consiglio», sottolineando che «l’architettura delle Nazioni Unite sui diritti umani svolge un ruolo molto importante nella loro promozione e protezione in tutto il mondo».
Nel frattempo la tensione resta alta lungo le linee tra Gaza e Israele. Netanyahu ha avvertito che se i palestinesi invieranno ancora “palloni incendiari” da Gaza verso il territorio israeliano «Il pugno di ferro dell’esercito colpirà con potenza. Siamo pronti ad ogni scenario ed è meglio che i nostri nemici lo capiscano e subito». L’avvertimento è giunto dopo una nuova notte di lanci di razzi palestinesi e di attacchi aerei israeliani (25 contro presunti obiettivi di Hamas) che spingono Gaza verso un nuovo conflitto a quattro anni di distanza dall’offensiva “Margine Protettivo”. I media israeliani, aiutati da quelli europei e americani, preparano l’opinione pubblica internazionale ignorando il blocco di Gaza che dura da 12 anni e parlando solo di “guerra degli aquiloni” in riferimento ai lanci dei palestinesi che hanno provocato incendi in alcuni campi coltivati oltre le linee di demarcazione. Pochi ricordano che l’intera fascia agricola di Gaza a ridosso di Israele da anni è quasi inaccessibile ai contadini palestinesi sui quali i soldati non esitano ad aprire il fuoco quando si avvicinano “troppo” alle barriere di separazione.
Michele Giorgio
Il Manifesto
21 giugno 2018