Una Loya Jirga su misura per Karzai
Giuliano Battiston
Conclusa la quattro giorni voluta dal presidente. Che si assicura il consenso dei notabili…
Si chiude con un successo apparente di Hamid Karzai la Loya Jirga di Kabul, la grande assemblea indetta dal presidente afghano per “discutere la ratifica di un accordo strategico con gli Stati Uniti e i prossimi passi per i colloqui di pace”. Al termine dei quattro giorni di dibattiti e interventi, Karzai porta a casa infatti il sostegno della maggior parte dei 2000 invitati. Che ieri hanno sottoscritto una dichiarazione che riflette le posizioni da lui annunciate mercoledì scorso, nel discorso inaugurale: sì alla presenza delle truppe americane oltre il 2014, per altri dieci anni; sì alla presenza di basi militari a stelle e strisce sul suolo afghano, fino al 2024; sì ai colloqui con i Talebani. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa afghana Pajhwok, sono molte però le condizioni richieste dai delegati presenti a Kabul: che dal 2014 tutte le eventuali operazioni militari siano condotte insieme alle forze di sicurezza locali; che gli Stati Uniti si impegnino a sostenere il governo afghano in caso di aggressione da parte di un paese terzo; che dal suolo afghano non partano attacchi contro altri paesi (un chiaro riferimento all’operazione che a maggio scorso ha portato all’uccisione in Pakistan di Osama bin Laden, partita proprio dall’Afghanistan); che gli Stati Uniti e l’intera comunità internazionale intensifichino gli sforzi per la ricostruzione delle infrastrutture del paese e che garantiscano l’arrivo dei soldi promessi per lo sviluppo (un’accusa implicita al fallimento degli sforzi fin qui compiuti); che al posto delle strutture amministrative parallele (il riferimento è ai PRT, Provincial Reconstruction Team) vengano rafforzate le competenze del governo locale. Quanto ai colloqui con i movimenti antigovernativi, nella dichiarazione finale si chiede un’inchiesta rigorosa sull’uccisione di Burhanuddin Rabbani, a capo dell’Alto consiglio di pace, diversi criteri per la composizione di questo organismo a cui spetta il dialogo con i Talebani, un invito a percorrere tutte le vie praticabili. A condizione però che i Talebani rinunciano alle armi. E gli americani alla segretezza dei loro colloqui. Nel chiudere la Loya Jirga, Karzai si è mostrato compiaciuto e soddisfatto, affermando di accogliere la dichiarazione finale come una serie “di istruzioni rivolte al governo da parte della popolazione afghana”. Ma il suo successo è solo apparente: c’è innanzitutto la scarsa rappresentatività dei delegati della Loya Jirga – leader tribali, religiosi, donne, rifugiati, membri dei consigli provinciali, governatori, senatori – selezionati secondo criteri poco trasparenti, convocati per adottare una risoluzione che non ha alcun potere vincolante, come hanno denunciato diversi membri del Parlamento afghano, a cui secondo la Costituzione spetta la ratifica finale di un accordo di partenariato con gli Stati Uniti. E che serve piuttosto a Karzai per giocarsi meglio le sue carte al tavolo negoziale con gli americani, e con un Parlamento che non controlla più. Il presidente dell’Afghanistan è un politico molto scaltro, ma questa volta potrebbe aver fatto male i suoi calcoli. Come ha notato Kate Clark, analista dell’Afghanistan Analysts Network di Kabul, Karzai pretende infatti due cose incompatibili: permettere agli Stati Uniti di avere basi militari e truppe in Afghanistan e, allo stesso tempo, rivendicare la sovranità nazionale. Una contraddizione insanabile. Così, nella dichiarazione finale della Loya Jirga, agli articoli 2 e 3 si chiede il rispetto della cultura, della sovranità, dell’indipendenza e dell’autonomia del paese. Richieste sensate sulla carta. Ma destinate a restare lettera morta, una volta tradotte in pratica: i delegati afghani chiedono infatti che le basi militari americane ricadano sotto il controllo afghano, che eventuali crimini commessi dai soldati a stelle e strisce siano giudicati secondo le leggi locali. E che i tanto deplorati raid notturni siano condotti solo dall’esercito nazionale. A rompere preventivamente l’incantesimo delle dichiarazioni formali ci aveva pensato, due giorni fa, il generale americano Curtis Scaparrotti, a capo del comando congiunto in Afghanistan: i raid notturni – aveva detto al Wall Street Journal – rimangono uno strumento indispensabile nella nostra strategia. Con buona pace di Karzai e dei suoi 2000 delegati. E della loro rivendicata sovranità.
Fonte: Lettera22
21 novembre 2011