Una città blindata, soprattutto per la stampa. Bisogna andarci per capire…


Anna Morelli


“L’Aquila bella me”, come la chiamavano i suoi abitanti, la città a 100 chilometri da Roma devastata dal terremoto di tre mesi fa, rimane sospesa e in attesa, circondata da un silenzio fragoroso.


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Una città blindata, soprattutto per la stampa. Bisogna andarci per capire...

“L’Aquila bella me”, come la chiamavano i suoi abitanti, la città a 100 chilometri da Roma devastata dal terremoto di tre mesi fa, rimane sospesa e in attesa, circondata da un silenzio fragoroso. Salvo, infatti gli spot governativi che vedono protagonista il premier e le notizie sull’imminente grande raduno del G8, la maggior parte dei media ha abbandonato il capoluogo abruzzese (che pure tanta solidarietà nel Paese ha suscitato) al suo destino. Le manifestazioni degli abitanti pazienti e ordinate, i convegni, gli incontri dei diversi comitati civici accomunati dalla volontà di ricostruire secondo regole condivise, non riescono a “sfondare”al di là dei giornali e delle tv locali. Né, eccetto lodevoli eccezioni  (come il reportage de l’Unità di domenica), si leggono inchieste, interviste, visite al Centro storico, cuore moribondo di una città al collasso.
Bisogna andarci all’Aquila per capire. Tornarci magari come figlia di quella terra ingrata e bellissima e come giornalista in pensione per accorgersi che c’è una volontà ben precisa di dirigere l’informazione, convogliarla in innocui canali prefigurati e distrarre la gente, compresi i cittadini aquilani, da tutto il resto. L’Aquila è una città blindata e militarizzata, come fosse assediata da nemici con le armi spianate. Ragioni di sicurezza, si ripete all’infinito: sicurezza fisica per le persone comuni che le continue scosse possono pregiudicare ed ora anche sicurezza per i grandi della Terra che si apprestano ad arrivare . E allora accade che presentare un tesserino dell’Ordine dei giornalisti per ottenere un “pass” in un ufficio, dove si va per ragioni personali, faccia scattare l’allarme. E la giornalista venga presa in consegna da un militare, seguita in ogni suo passo nel dedalo di cemento della scuola della Guardia di Finanza, piantonata durante i colloqui con gli sbigottiti impiegati e riaccompagnata all’uscita con nessuna spiegazione.
Poi c’è la visita (privata) al Centro storico dentro la zona rossa  e lo choc è ancora più grande. Alle spalle di piazza Duomo si estende un’area preziosa e unica dal punto di vista storico culturale : vicoli, piazze, palazzi, cortili, fontane, chiese che dal 1300 in poi, sono andati formando un patrimonio inestimabile e ineguagliabile, ma fragile e maggiormente esposto alle bizzarrie della natura. Il cuore della città, che ha dato linfa, ossigeno, identità e appartenenza a tutti gli aquilani, ora è gravemente ferito, inaccessibile e impenetrabile perché pericoloso per l’incolumità fisica dei cittadini e degli stessi uomini dei Vigili del Fuoco, della Protezione civile e della Polizia. Per visitare la propria casa o recuperare l’indispensabile è necessario prenotarsi presso la tenda dei Vigili del Fuoco, mettersi in fila e attendere che una squadra disponibile e gentilissima ti accompagni “dentro”. E dentro è tutto rimasto fermo alla notte fra il 5 e il 6 aprile: le macerie delle ali crollate dei palazzi cinquecenteschi sono tutte lì a ostruire i passaggi, i cornicioni e le tegole pericolanti non sono stati abbattuti, i puntelli alle case “spanciate” in avanti sono rarissimi e frutto di disperate insistenze.  E mentre in questo deserto, dietro il vetro di una finestra ancora occhieggia un’orchidea moribonda, s’incontra solo qualche faccia terrea  di chi cerca di riprendersi almeno un ricordo. Se non si entra nel Centro storico non si vede e non si può documentare la devastazione del terremoto e quanta inerzia e noncuranza l’hanno seguito, ma poiché è “pericoloso” per l’incolumità fisica nessuno può entrare. E’ un circolo vizioso che impedisce la conoscenza e la consapevolezza da parte dei cittadini, che copre e nasconde le vere intenzioni sul futuro di questo territorio e mentre si esaltano e si amplificano le notizie “buone”( 50 metri di corso dalla Villa a piazza Duomo riaperti e documentati da tv di tutto il mondo) si impedisce di fatto l’esercizio della professione giornalistica nella zona oscurata. Delle altre censure si è parlato, anche se non abbastanza: la vita delle tendopoli è regimentata da un ordine paramilitare, e coloro che hanno una casa lesionata non sanno come, quando e con quali soldi potranno aggiustarla. Ora sono prioritari i lavori per il G8 e grande fermento c’è sull’autostrada e intorno all’aeroporto . Ma l’inverno all’Aquila arriva presto (spesso a metà agosto nevica sul Gran Sasso) e l’acqua e il gelo completeranno l’opera, in un silenzio ancora più assordante, quando sul palcoscenico dell’incontro dei potenti calerà il sipario.

Fonte: Articolo21

29 giugno 2009

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