Un silenzio troppo rumoroso


Paola Caridi - invisiblearabs.com


Paola Caridi, corrispondente dal Medio Oriente, riflette: “Il silenzio della Rete, oggi, vorrei fosse proprio una pausa, per pensare a quelle righe, parole, sensazioni, informazioni che rischiano di essere mandate al macero virtuale del tutto indistinto”.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Un silenzio troppo rumoroso

E’  stato così, di botto. Una lampadina accesa mentre riflettevo sul “silenzio sì/silenzio no”. Vecchia diatriba delle lotte sindacali, peraltro: sciopero, oppure sciopero bianco? Aventino oppure dissenso attivo? Dobbiamo, come giornalisti, informare ancor più di prima oppure, per un giorno solo, tacere e con quel  silenzio mostrare cosa sarebbe l’Italia (post-industriale, post-costituzionale, post-democratica) senza l’informazione?
 
E allora mi è venuto in mente  Bohumil Hrabal, grande autore ceco, scrittore proibito dal regime comunista, morto nel 1997 forse suicida. Uno scrittore commovente, per la sua maestria, per quel surrealismo delle piccole cose che rende i suoi romanzi forse i più belli che ho letto nella mia vita. È soprattutto Una solitudine troppo rumorosa quello che è ancora fisso nella mia memoria. Uscito nel 1977, pochi anni dopo la Primavera di Praga, e a Praga ambientato, il romanzo aveva un solo protagonista, una sorta di monologo di un uomo e dei libri che macerava, in uno scantinato della capitale dell’allora Cecoslovacchia. Libri al macero, ma osservati con attenzione, quelle righe, quelle parole, e tutti i ricordi appresso.
 
Ecco, il silenzio della Rete, il 9 luglio, vorrei fosse proprio una pausa, per pensare a quelle righe, parole, sensazioni, informazioni che rischiano di essere mandate al macero virtuale del tutto indistinto. Un giorno per pensare. Nient’altro. Per pensare a cosa sarebbe la Rete se non vi fosse quella informazione (alternativa o meno), spesso volontaristica, alla quale si abbevera soprattutto la parte più giovane del mondo dei net-navigatori. Un giorno anche senza la nostra Lettera22, i nostri blog,  i nostri commenti su Facebook…
 
Non è Aventino, e non è passività. Non è un modo per astenersi o per fare, come Giuseppe Prezzolini mentre il fascismo soffiava sul collo degli intellettuali di primo Novecento, gli apoti, coloro che non la bevono. Il dissenso si fa anche  col silenzio attivo di un giorno, e poi – dal giorno dopo, ancora una volta – con quel brusio cosciente, con quel coro dissonante che è l’informazione della Rete. Con quella solitudine troppo rumorosa di Hrabal, nel cuore nascosto di Praga. Con i samizdat, quelli che un tempo erano i ‘fogli clandestini’ del dissenso in Europa dell’est pre-1989,  e con l’informazione che non si trova (o che si trova diversa) nell’informazione mainstream.
 
È un’informazione a cui il pubblico virtuale sembra abituato come se fosse uno dei tanti accidenti della nostra vita quotidiana. Come il cappuccino e cornetto a colazione. Non è così. Non deve essere così. È un’informazione che costa fatica, e il silenzio di un giorno – credo – potrebbe far intuire che non si  può mangiare e digerire questo tipo di informazione come se fosse la “cosa” più naturale del mondo. È l’informazione fatta da gente come i giornalisti di Lettera22, e i tanti altri che – oltre la stampa mainstream – hanno deciso che anche per loro internet è un’agorà molto interessante non solo dal punto di vista della qualità informativa, ma anche per la tenuta democratica del Paese.
 
Informazione e democrazia si tengono. Non sono indipendenti l’una dall’altra. Lo sappiamo bene noi (di Lettera22) che ci occupiamo di politica internazionale, e chi fra noi (me compresa) vive all’estero. Informazione e democrazia si nutrono l’una dell’altra. Lo si tocca con mano là dove le crisi e i conflitti provano a tirare per la giacchetta i giornalisti, come in Medio Oriente, costringendo i reporter a uno slalom tra propagande, dissimulazioni, ‘falsi bersagli’. Lo si tocca virtualmente con mano nella Rete araba e mediorientale, quella della quale mi occupo da anni, divenuta l’unica agorà in cui il dissenso può esprimersi, in forme diverse ma con la stessa volontà di incidere sui processi socio-politici sperimentata nel pre-1989 in Europa orientale.
 
È perciò la Rete araba e mediorientale a convincermi che internet, i social network, l’informazione in Rete, i blog e i forum sono importanti anche in Italia, per la tenuta della democrazia. Tanto importanti da rendere necessario, solo per un giorno, e per un giorno solo, il silenzio. Perché ognuno dei naviganti si renda conto di quanto la Rete conti. Poi, niente più silenzio, niente più bavaglio. Dopo, sì, la parola sarà l’unica arma, usata ogni giorno, per difendere la libertà. E non solo la libertà di informare.

Fonte: Lettera22

8 luglio 2010

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento