Un muro per impedire l’ingresso in Gran Bretagna
Huffington Post
Sarà costruito a Calais. L’Unhcr teme che “altri Paesi europei possano seguire l’esempio e che persone in fuga da guerre e persecuzioni sempre più difficilmente troveranno protezione in Europa”.
Un altro muro sta per spuntare sulle strade d’Europa per provare a fermare i migranti: questa volta in terra di Francia e per volere della Gran Bretagna, nel cuore di quell’Occidente che, a parole, tanto aveva criticato iniziative analoghe partorite ai confini sud-orientali del continente, dall’Ungheria in su.
Il “great wall” di Calais, come lo hanno definito i media del Regno Unito, sarà alto ben quattro metri e in cemento, correrà per un chilometro lungo l’autostrada che arriva al porto francese sulla Manica e la sua costruzione deve iniziare “molto presto”, secondo il sottosegretario per l’immigrazione Robert Goodwill, forse già entro la fine del mese. Ma anche il governo austriaco si barrica dall’ ‘assalto’ dei profughi, con un sostanziale stop alle richieste di asilo, respingimenti in “Paesi sicuri” e fino a 2.200 soldati per controllare i propri confini.
In base alle stime che circolano, il progetto del muro di Calais dovrebbe costare quasi 2 milioni di sterline e fa parte di un pacchetto di misure da 17 milioni di pound del governo di Londra per meglio controllare la frontiera ‘condivisa’ con le autorità francesi. Pacchetto che era stato stabilito da tempo fra i due Paesi e che l’ex premier David Cameron aveva presentato nell’incontro dello scorso marzo col presidente Francois Hollande. E’ nel pieno interesse dei britannici infatti sostenere il difficile compito dei francesi che gestiscono le migliaia di migranti al campo Giungla, non lontano dalla più importante arteria stradale che conduce al porto e agli imbarchi per l’Inghilterra. A decine ogni giorno tentano di salire sui tir diretti a Dover, spesso incolonnati in attesa di raggiungere i ferry, causando forti disagi, regolarmente messi in evidenza dalla stampa del Regno. Il muro si va ad unire a una serie di recinzioni e filo spinato che hanno trasformato il terminal dei traghetti e la zona circostante in una sorta di roccaforte, che risulta però ancora facilmente violabile: lo provano i gruppi di profughi che periodicamente vengono scoperti a bordo di camion frigo dall’altra parte della Manica, spesso nella contea inglese del Kent.
Ma l’iniziativa ha raccolto forti critiche. Non tanto da parte di associazioni umanitarie bensì proprio da parte dei diretti interessati, gli autotrasportatori britannici. Una della loro associazioni, la Road Haulage Association, ha parlato di “spreco di denaro pubblico” e chiesto che invece i fondi vengano usati per migliorare la sicurezza e i controlli direttamente sulle strade, potenziando la presenza della polizia e anche usando l’esercito.
“Io non giudico le misure di altri governi, penso però che non andiamo da nessuna parte in questo modo”, ha commentato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. “Dobbiamo renderci conto – ha detto – che la soluzione è investire in Africa, risolvere crisi come quella siriana e condividere il peso dell’immigrazione a livello europeo. Se pensiamo invece ciascuno ad alzare il proprio recinto penso che non arriviamo a nulla”.
Se Londra si prepara a costruire il “grande muro di Calais”, Vienna lancia invece la “Notverordnung”, l’ordinanza d’emergenza nei confronti dei migranti che avrà una durata di sei mesi ma potrà essere prolungata tre volte. Non è ancora chiaro – stando alla stampa austriaca – se entrerà in vigore quando sarà raggiunto il tetto delle 37.500 richieste di asilo o addirittura prima. Di sicuro invece ha già scatenato un’accesa polemica. “Il provvedimento d’emergenza rappresenterebbe la rottura di un tabù e l’abbandono del principio di protezione dei profughi”, ha accusato Christoph Pinter, rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Austria.
L’Unhcr teme che “altri Paesi europei possano seguire l’esempio e che persone in fuga da guerre e persecuzioni sempre più difficilmente troveranno protezione in Europa”. Mentre Amnesty International lancia un appello allarmante: il timore è che ci sia “una nuova Idomeni” al valico austro-ungherese.
Fonte: www.huffingtonpost.it
7 settembre 2016