Un anno senza Mubarak ma rivoluzione incompiuta
Michele Giorgio - Near Neast News Agency
Tante cose sono avvenute in Egitto in questi 12 mesi, in bene, molto più spesso in male. Persino gli stadi di calcio sono diventati terreno per le vendette contro la rivoluzione. Oggi sciopero contro militari al potere e per ricordare la sera in cui fu annunciata la caduta del rais.
Quel boato nessuno lo dimenticherà mai. Partì da piazza Tahrir, colma la sera dell’11 febbraio di milione di persone, e attraversò da nord a sud l’Egitto. Un’esplosione di gioia immensa seguita all’annuncio dei militari: il presidente Hosni Mubarak ha dato le dimissioni. Fu un cambiamento epocale per l’Egitto, dopo il «falso allarme» della sera precedente quando il raìs provò con un ultimo discorso alla nazione a rimanere aggrappato alla poltrona che aveva occupato per trent’anni.
Quella sera il popolo egiziano, dopo aver pagato con oltre 800 morti e migliaia di feriti la sua rivolta contro il tiranno, si unì ai tunisini che qualche settimana prima avevano costretto alla fuga dal paese il presidente Ben Ali. E nessuno dimenticherà anche il mattino successivo alla caduta di Mubarak. Migliaia di giovani andarono a Tahrir e in altre piazze dell’Egitto per spazzare le strade, persino dai mozziconi di sigarette, accompagnati da brani dell’epoca di Gamal Abdel Nasser irradiati dagli altoparlanti. Era la purificazione del paese, salvato da un regime infetto e malato.
E’ passato un anno e tante cose sono avvenute in Egitto in questi 12 mesi, in bene, molto più spesso in male. Persino gli stadi di calcio sono diventati terreno per le vendette contro la rivoluzione. Mubarak non c’è più ma il suo regime non è mai crollato. E le forze armate, che si erano fatte garanti del successo della rivoluzione del 25 gennaio, si sono rivelate un nemico terribile per la costruzione di un nuovo Egitto. I generali vogliono conservare il «diritto di ultima parola» dopo l’elezione del nuovo presidente e in questi mesi non hanno esitato ad usare la forza contro chi li ha contestati: i morti sono stati decine e decine. Certo, si sono tenute le prime elezioni libere e regolari della storia recente del paese ma in parlamento sono finiti in buona parte rappresentanti di quelle forze politiche, a cominciare dai partiti islamisti e il Wafd (destra), che all’insurrezione contro Mubarak aderirono con grave ritardo. Per giorni mantennero aperto il dialogo con il raìs e il suo vice Omar Suleiman. Queste forze ora scriveranno la nuova costituzione.
I rivoluzionari veri in parlamento sono un gruppetto sparuto. Ma sono tanti nelle strade. Ieri in migliaia hanno marciato davanti al ministero della difesa per chiedere la fine del potere ai militari che hanno risposto annunciando per oggi un massiccio schieramento di soldati e poliziotti in occasione dello sciopero generale proclamato per l’anniversario della cacciata di Mubarak. Piazza Tahrir sarà blindata, i religiosi legati ai Fratelli musulmani lanciano appelli perché «non si metta in difficoltà l’economia del paese» e c’è chi minaccia di licenziare gli scioperanti. Ma i protagonisti della rivoluzione di un anno fa andranno a piazza Tahrir ci andranno. «Vergogna a chi delude il popolo egiziano – urlava ieri un giovane -, a quelli che promettono e non mantengono. Vergogna a tutti quelli che hanno colpito la rivoluzione. Una rivoluzione fatta da gente onesta».
Fonte: http://nena-news.globalist.it
11 Febbraio 2012