Un anno da delitto di Pollica. Cantone: “Vassallo come Falcone: tributo postumo”
Luigi Colombo
Il magistrato anticamorra parla del sindaco ucciso per mano di un killer rimasto ancora senza nome: “Provo una grande amarezza, per l’ennesima volta nel nostro Paese per avere ragione bisogna morire”.
Anche per il sindaco di Pollica Angelo Vassallo, così com’è accaduto per tanti altri, c’è stato il «tributo postumo» – quello secondo il quale «per avere ragione bisogna morire» – da parte di una classe politica lontana dai problemi reali dei territori e senza troppa voglia di risolvere quella «enorme questione morale» che rischia di soffocare il futuro del Paese.
Raffaele Cantone è tra i magistrati più noti d’Italia. Oggi impegnato alla Suprema Corte di Cassazione, da dodici anni vive sotto scorta dopo aver condotto per anni, alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, le più importanti indagini sul clan camorristico dei Casalesi. Anche lui aveva avuto modo di conoscere l’opera del "sindaco pescatore".
Da quell’omicidio è trascorso un anno ma ancora oggi mandanti ed esecutori sono ancora avvolti nel mistero. Che idea s’è fatto?
Ho grande fiducia nel lavoro della Procura di Salerno, anche perché sono amico e ho lavorato con il procuratore Franco Roberti; conosco il suo stile, conosco il suo impegno, conosco soprattutto la capacitá di approccio rispetto a vicende che possono riguardare la criminalitá organizzata. Mi rendo conto che un anno può sembrare lungo, ma per indagini complesse non lo è. Quest’anno che è trascorso è, però, la dimostrazione che questa vicenda è più complessa di quello che qualcuno voleva far credere, di tutti i tentativi che c’erano stati in una prima fase di ridimensionare l’o micidio a una storia di paese.
In quei giorni, infatti, si faceva fatica anche solo a pronunciare la parola "camorra"…
Mi riferivo proprio a questo, perché rimasi stupito. Non credo che quello del sindaco Vassallo sia necessariamente un omicidio di camorra; anche se alcuni elementi facevano, e fanno pensare, che possa essere più che un omicidio di camorra, un omicidio che vede coinvolti interessi e persone legate alla camorra. Quello che però mi ha stupito è stata la reazione da parte di esponenti della politica locale, delle istituzioni locali, forse anche giustificata, sull’ipotesi che ci potesse essere fin dall’inizio questa matrice. Come se esistessero zone immuni. E questo credo sia stato un clamoroso errore. Sarei il primo a essere felice pensando che esistono zone in cui certi problemi non arrivino. Sebbene sia molto difficile con i tempi che corrono, con la volatilitá del denaro e con la capillaritá della criminalitá organizzata, pensare che esistano zone franche. Quello che mi ha stupito è stato proprio questo: non sappiamo la causale, ma escludiamo che sia la camorra. Un vero paradosso: se non conosci la causale come fai a pensare che non c’entra la camorra?
Di certo l’omicidio del sindaco Vassallo ha acceso i riflettori su questo territorio; sugli affari che la criminalitá organizzata, quella campana ma anche quella calabrese, ha portato avanti indisturbata da almeno trent’anni.
Concordo. La vicenda ha consentito di aprire un faro sul rischio delle infiltrazioni. Un rischio che io credo sia molto elevato; ed è giusto non sottovalutare anche molte presenze che ci sono in quella zona. Sicuramente nel Cilento non c’è una realtá camorristica paragonabile a quella della provincia di Napoli, di Caserta o di Reggio Calabria. Ma la camorra, la mafia, la ’n drangheta, si muovono in maniera diversa secondo i luoghi. La camorra che investe non è la stessa camorra che spara, e quella vicenda forse ha consentito di puntare un faro sul fatto che esiste una camorra che non necessariamente spara, ma non per questo è meno pericolosa.
Nel Salernitano, infatti, storicamente, non si è mai sparato come a Napoli. Ciò non toglie che sia esistita una forte presenza di cartelli criminali che hanno lasciato il segno. E oggi, probabilmente, vi sono diverse realtá "emergenti" – non necessariamente collegate agli storici clan decimati negli anni da magistratura e forze dell’ordine – che trovano nell’asse col Napoletano sempre più il loro punto forte. Soprattutto nel settore della droga, altra battaglia che lo stesso Vassallo stava portando avanti.
• L’aspetto legato alla droga, almeno leggendo i giornali, credo sia uno di quelli su cui le indagini si concentrano maggiormente. Sappiamo che la droga è uno degli affari più grossi della criminalitá organizzata e sappiamo che è difficile trovare zone nelle quali lo spaccio di droga non c’è. Detto questo, credo che i meccanismi della repressione lascino abbastanza a desiderare, nel senso che a livello locale a volte fenomeni di piccolo e medio spaccio quasi sono tollerati. Dietro fenomeni di piccolo e medio spaccio, però, si nascondono interessi maggiori. Se ad esempio a Pollica c’è qualcuno che spaccia la droga, bisogna domandarsi chi la porta e chi, a sua volta, la importa. I mercati minori servono ad alimentare il macro mercato, che molte indagini hanno dimostrato avere uno dei suoi punti centrali a Scampia a Napoli, ma non solo.
Tornando alla figura del sindaco Vassallo, c’è anche da dire che lui ha sempre lamentato il fatto di dover operare da solo, di non trovare l’appoggio delle istituzioni, dei partiti. Non crede che molti si siano accorti di lui un po’ tardi?
Questo è un aspetto che mi ha molto amareggiato. Si è parlato del buon governo di Vassallo, si è parlato di tutta una serie di cose che Vassallo ha fatto per una delle zone più belle d’I talia, solo dopo che morto. Mi è sembrato un atto di tributo postumo, fatto un po’ da tutti, a livello nazionale e locale, che mi ha lasciato una grande amarezza. Mi ha fatto pensare come per l’e nnesima volta in questo Paese per avere ragione bisogna morire. Mi ha fatto pensare a quello che è avvenuto con Falcone, con Borsellino e con tanti altri. Quando sono in vita si pensa sempre a discutere la persona, fermo restando poi la beatificazione successiva. Con il sindaco Vassallo si è verificata la stessa cosa.
La dimostrazione concreta di una politica che dimentica i territori?
C’è un dato che diviene sempre più caratteristico, cioè una politica che si spinge solo sugli interessi dei grandi centri come Roma o Napoli, e che è molto poco interessata a quello che avviene nei territori e molto lontana da quella che è la vita quotidiana dei cittadini. Anche quello che è avvenuto ultimamente, col tentativo di eliminazione dei Comuni, è la dimostrazione di una politica che ha difficoltá a conoscere cos’è un Comune, cos’è una comunitá. Mi preoccupa molto e devo dire che m’inquieta il solito meccanismo di chi poi ricorda i morti quando ha abbandonato i vivi.
Da un sindaco all’altro. Poco più di un mese fa è stato arrestato Alberigo Gambino – primo cittadino di Pagani, tra i più votati d’Italia, e consigliere regionale – con gravissime accuse, seppur in parte ridimensionate dal Riesame. Non pensa che ci si trovi di fronte a un "sistema" malato che ha ormai perso la fiducia dei cittadini?
Credo che da tempo nella vita pubblica italiana ci sia una pesante questione morale. Basterebbe chiederlo agli imprenditori che lavorano col pubblico o ai cittadini che, troppo spesso, quando hanno contatto con amministrazioni vicine a certi ambienti, verificano situazioni poco trasparenti. Questo è uno dei temi principali della nostra vita quotidiana. Sarò, però, facile profeta: la questione morale avrá la ribalta giusto per il tempo di una campagna elettorale; appena si abbasserá l’attenzione, perché non ci saranno casi eclatanti su cui discutere, nessuno se ne occuperá più.
Il panorama è deprimente. C’è una soluzione?
Non è semplice. La soluzione per fenomeni così complessi non è individuabile in un’unica ricetta. E’ vero che quando si fanno questi discorsi il rischio è di non far niente. Ci sono una serie di segnali che da tempo evidenziano come questo fenomeno sia stato sottovalutato. Basterebbe vedere come sia stato abbassato il termine di prescrizione e la cosa è passata, tutto sommato, senza destare grande scandalo; di come all’interno della pubblica amministrazione da anni si è abbandonato ogni tentativo di avere meccanismi di controllo preventivi; o quanti processi sono effettivamente stati fatti su certi argomenti. Ma bisognerebbe anche porsi la domanda: anche per i pochi processi che si sono fatti che fine hanno fatto le persone che sono state condannate? Per la mia esperienza ho visto anche persone condannate per reati contro la pubblica amministrazione che non hanno avuto nessun problema né di carriera, se si trattava di burocrati, né nella politica se si trattava di esponenti politici. Questo la dice lunga. La questione morale si affronta non facendo la battaglia estemporanea, ma ponendoci una serie di problemi, individuando una serie di regole, che siano però poi effettivamente rispettate, senza se e senza ma. In Italia c’è questa tendenza strana a tentare sempre la mediazione, anche nell’applicazione delle regole. Così anche se un soggetto è stato condannato, ma a meno di tre anni, può rimanere nella pubblica amministrazione. Invece, se si vuole fare la lotta alle corruzioni, all’illegalitá, bisogna avere anche il coraggio, ogni tanto, di prendere posizioni draconiane».
Fonte: La città di Salerno
05 settembre 2011