Turchia: referendum sul parco
Riccardo Cristiano - Il Mondo di Annibale
Dopo l’incontro con una delegazione della “società civile” che occupa il parco di Gezi, Erdogan propone un referendum, per i soli cittadini di Istanbul. Ma…
Come se fosse un centro sondaggi e statistiche istantanee, Twitter secondo i più indica che la mossa di Erdogan è riuscire a dividere il fronte avverso. L'idea di proporre un referendum sul parco, conservarlo così com'è o sostituirlo con le caserme ottomane, ad alcuni sembra un compromesso accettabile, ad altri no.
L'idea è stata resa pubblica dal portavoce del governo turco dopo l'incontro tra il premier e una delegazione, incompleta, di esponenti del movimento"Piazza Taksim". Ma il compromesso non è stato convenuto con loro. E' una proposta formulata dopo l'incontro. Furbo Erdogan, no?
Da subito l'attenzione di tutti è andata al solito "piccolo dettaglio": il portavoce non ha annunciato il referendum. Ha annunciato che il governo è pronto a prendere in considerazione, che si potrebbe fare un referendum, che ovviamente riguarderebbe solo i cittadini di Istanbul. Tutte formule che non assicurano. In cambio si chiede la protesta, da questa sera, senza altre tergiversazioni. E qui, scrivono i giornali turchi, Twitter rivela timori di imbroglio, paure di un doppio gioco del premier: "noi andiamo via e lui non fa il referendum".
Qualcuno ovviamente scrive che il referendum dovrebbe nazionale, perché la protesta si è estesa ovunque nel paese. Un altro, tagliente, scrive che i referendum vanno bene, ma non si sottopone a referendum la possibilità di percuotere le mogli. E' il segno del "divide" laico-religioso, del suo approfondirsi.
Dunque Erdogan, forse ascoltando i suoi consiglieri e il presidente Gul, ha finalmente messo sul tappeto l'idea del referendum. Ma dei provvedimenti nei confronti di chi ha ordinato di usare metodi brutali in piazza, chiesti dalla delegazione, non c'è traccia. Purtroppo. E questo fa temere che questo incontro sia arrivato troppo tardi.
Fonte: http://ilmondodiannibale.globalist.it
13 giugno 2013