Tibet, giornalisti "Embedded" a Lhasa
Junko Terao
Per quindici minuti alcuni monaci hanno potuto sfogarsi ai microfoni dei giornalisti in visita "guidata"a Lhasa. Nei prossimi giorni una delegazione di diplomatici stranieri andrà in Tibet, invitati da Pechino. In allegato le vicende descritte dall’inviata Karma C.
“Il Tibet non è libero! Libertà!”. Sapevano di non avere molto tempo a disposizione i circa trenta monaci che ieri a Lhasa hanno improvvisato una manifestazione davanti alla delegazione di giornalisti in visita nella capitale tibetana, e hanno parlato il più possibile. Nella manciata di minuti prima che la polizia li portasse via, i monaci hanno parlato davanti alla telecamera e ai microfoni della stampa, cosa che non succedeva da anni. “Ci hanno chiusi dentro, pensano che se ci lasciano uscire andremo a distruggere, rubare, bruciare. Non abbiamo fatto nulla di tutto ciò, le loro accuse sono false”, ha detto un monaco davanti alla telecamera dell’agenzia Aptn. La tv di Hong Kong Tvb ha trasmesso le immagini dei monaci, alcuni dei quali in lacrime, oscurate dalla censura cinese mentre la Bbc le mandava in onda. I giornalisti non hanno saputo dire che fine hanno fatto i trenta religiosi anche perché i funzionari cinesi che li accompagnavano li hanno invitati a proseguire verso la tappo successiva. Da quando sono iniziate le manifestazioni, i principali monasteri di Lhasa sono chiusi e circondati dalle forze dell’ordine. Ieri è giunta la notizia che un monaco nel monastero di Ramoche sarebbe morto di fame a causa del mancato accesso ai viveri. Edifici bruciati, negozi chiusi e militari ovunque: i giornalisti descrivono i quartieri di Lhasa simili a “zone di guerra”. Il tour finirà domani e Pechino ha annunciato che un gruppo di diplomatici stranieri andrà a Lhasa nei prossimi giorni. Tra i delegati ci sarà anche il consigliere politico dell’ambasciata italiana a Pechino. E ieri il portavoce del ministero ha ribadito la posizione del governo, rimasta immutata dopo il colloquio telefonico tra il presidente Usa Bush e quello cinese Hu Jintao. “Per il governo cinese le porte al dialogo col Dalai Lama sono aperte, ma prima deve rinunciare alle sue velleità secessioniste e fermare le sue attività separatiste e affermare che Taiwan ed il Tibet sono parte della Cina”. Annullata la visita del ministro del commercio indiano a Pechino in programma da tempo, “non per motivi diplomatici ma di date” ha precisato Nuova Dehli. Ieri il Dalai Lama ha definito il governo indiano “un po’ troppo cauto nei confronti della questione tibetana”, aggiungendo che “la cosa è comprensibile e noi abbiamo sempre avuto solidarietà dall’India”.
Fonte: Lettera22 e quotidiani locali del gruppo l'Espresso
28 marzo 2008