Territori palestinesi: a rischio un’importante risorsa di sviluppo, l’eredità culturale
Michela Perathoner
La cooperazione internazionale in Palestina? Dovrebbe puntare soprattutto sull’eredità culturale di questo territorio, ricco di storia ed eventi straordinari…
“La cooperazione internazionale in Palestina? Dovrebbe puntare soprattutto sull’eredità culturale di questo territorio, ricco di storia ed eventi straordinari.” Secondo Carla Benelli, storica dell’arte, impegnata da anni in attività di recupero del patrimonio storico-artistico in Cisgiordania, è proprio tale ricchezza che andrebbe preservata. L’obiettivo? Ricreare un flusso turistico verso quei villaggi esclusi dai principali tour turistici mediorientali in seguito all’aggravarsi della situazione politica. Località che, invece, conservano dei veri e propri tesori culturali, come Sebastia, situata a nord di Nablus.
“L’esercito israeliano controlla direttamente o indirettamente l’intero territorio e decine di siti storici e archeologici in Cisgiordania sono inclusi nelle aree gestite dalle colonie ebraiche”, spiega l’esperta, presentando tre casi limite: “I siti archeologici di Sebastia, Herodion e Qumran sono interamente gestiti dalla Agenzia Israeliana per la Protezione della Natura e dei Parchi Nazionali, pur essendo collocati in piena Cisgiordania.” Centinaia di reperti, tra cui interi mosaici pavimentali scavati nei Territori Palestinesi, poi, sarebbero immagazzinati o esposti in istituzioni museali controllate da Israele. israeliane.
Cosa comporta il conflitto in relazione all’eredità culturale?
L’aspro conflitto che caratterizza da molti anni l’intera area geografica ha inevitabili effetti negativi anche sul ricco patrimonio culturale di tutta la regione e ne condiziona profondamente la preservazione. A questo elemento si aggiungono i limiti di un territorio in gran parte ancora soggetto ad occupazione militare, e non sufficientemente attrezzato a gestire correttamente le sue vaste risorse storiche e artistiche.
Qual è la responsabilità dello Stato di Israele a tale proposito?
La crisi politica seguita allo scoppio della seconda intifada nel 2000, oltre ad avere aumentato la sofferenza del popolo palestinese, ha distrutto o danneggiato una notevole quantità di beni culturali. L’esercito israeliano ha violato ripetutamente la Convenzione de L’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, dando l’impressione che l’obiettivo delle manovre militari non riguardasse solo la popolazione palestinese, ma più in generale tutto quello che rappresentava le sue radici nel paese e la sua cultura. Israele controlla ad oggi ancora il 70 per cento circa della Cisgiordania e il 100 per cento di Gerusalemme Est.
Ci sono risorse culturali e archeologiche direttamente sotto il controllo palestinese?
Sì, ma sono limitate ad una piccola estensione territoriale che risulta essere comunque importante. Pensiamo ad esempio a Betlemme con la Chiesa della Natività, a Gerico, con uno degli insediamenti umani più antichi del mondo, i pavimenti mosaicati delle chiese bizantine, la villa di Erode il grande, il Palazzo Umayyade con il mosaico dell’albero della vita, a Hebron con il Santuario di Abramo e la quercia di Mambre o alla città antica di Nablus.
Quali sono i problemi nella gestione e conservazione dei siti?
L’Autorità Nazionale palestinese, che esercita la tutela dei beni culturali dal 1994 attraverso il Dipartimento di Archeologia del Ministero del Turismo e l’Antichità, deve fare fronte a gravi problemi di gestione e manutenzione con strumenti e norme inadeguate. Il settore della conservazione del patrimonio culturale palestinese soffre inoltre di una cronica mancanza di professionisti, che coinvolge tutte le istituzioni impegnate nella gestione dei beni culturali e la situazione è aggravata dall’incapacità delle diverse istituzioni di lavorare in gruppo. Particolarmente carente è inoltre il settore della formazione e le Università locali non riescono ancora a sviluppare di corsi di vario livello per la costruzione delle necessarie competenze.
Si preferisce puntare sul “nuovo” piuttosto che sull’eredità?
Diciamo che da un lato parti consistenti del patrimonio culturale non vengono valorizzate e lasciate in uno stato di degrado. L’altro problema è la mancanza di controllo, da parte dei palestinesi, delle aree che circondano le loro località: non potendosi sviluppare nel territorio costruiscono sui centri storici, mettendo a rischio una parte del patrimonio culturale.
Quali località sono in condizione di particolare degrado?
Nel 2002 la città di Nablus, che risale al periodo romano, ha subito danni e distruzioni inestimabili. Sono stati colpiti edifici storici di culto, antiche fabbriche e innumerevoli abitazioni del centro storico. Il centro storico della città di Betlemme è stato a più riprese danneggiato, e il suo più rappresentativo simbolo storico e religioso, la Chiesa della Natività, mostra ancora oggi i segni del conflitto. Anche la chiesa di Abboud è stata bombardata. Ma il vero problema, più che negli attacchi e nei bombardamenti, sta nella mancanza di pianificazione, A Gerico ad esempio, hanno costruito una teleferica accanto alla città antica 10 mila anni. Dal 1967 in poi c’è una totale mancanza di interventi di manutenzione e protezione: il patrimonio culturale palestinese è da decenni in uno stato di totale abbandono.
Michela Perathoner
(Gerusalemme – inviata di Unimondo)
Fonte: Unimondo.org
31 luglio 2010