Tel Aviv, dopo il sì dell’UNESCO 2000 nuovi insediamenti
Lettera22
A quarantotto ore dal sì dell’Unesco all’ingresso della Palestina come membro a tutti gli effetti, la reazione di Tel Aviv non si è fatta attendere…
Circa 2000 nuovi insediamenti e lo stop al trasferimento di fondi delle tasse all’Autorità nazionale palestinese. A quarantotto ore dal sì dell’Unesco all’ingresso della Palestina come membro a tutti gli effetti, la reazione di Tel Aviv non si è fatta attendere. E nel vertice di ieri tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i sette ministri più importanti del suo governo, convocata proprio per discutere delle misure da prendere nei confronti dell’Unesco e dell’Anp, è arrivata la conferma della linea durissima.
Tel Aviv, infatti, ha spinto su una delle questioni più spinose di sempre nell’ambito delle trattative tra palestinesi e israeliani: i nuovi insediamenti. Specialmente a Gerusalemme est, dove il governo ha annunciato che saranno costruite 1650 delle 2000 nuove abitazioni. Altre sono previste nella zona di Betlemme, la stessa area per la quale i palestinesi si preparano a chiedere la prima definizione di patrimonio dell’umanità all’Unesco.
Una decisione, questa, che ha provocato la critica immediata da parte della Francia, capofila dei Paesi Ue che hanno votato sì all’ingresso palestinese all’Unesco. Non solo, perché il Quai d’Orsay si è detto “molto preoccupato” anche rispetto a “un eventuale congelamento dei trasferimenti delle tasse raccolte a nome dell’Autorità palestinese”.
Abu Mazen, intanto, tira dritto: Ramallah, che ha definito la decisione di sospendere il trasferimento dei fondi all’Anp come una decisione “disumana” che “accelera la distruzione del processo di pace”, sta d’altra parte già lavorando alla richiesta d’adesione della Palestina in altre 16 agenzie internazionali. Prefigurando esattamente quello che temevano Washington e Tel Aviv, ovvero che il precedente del via libera dell’Unesco (arrivato con 107 sì, 14 no e 52 astensioni fra cui quella italiana) creasse un effetto domino.
Tesissimi dunque i rapporti tra Anp e Israele che, come ribadito da Netanyahu lunedì alla Knesset, ha bollato le mosse di Abu Mazen come un’evidente infrazione degli accordi di Oslo in quanto azioni unilaterali. Nessuna nuova, invece, sul fronte della possibile rottura di ogni rapporto con l’Anp riproposta dal ministro degli Esteri israeliano, Avidgor Lieberman, proprio alla vigilia dell’incontro governativo di ieri.
In via di definizione, a Tel Aviv, anche le misure per rivedere le relazioni con l’Unesco, alle cui delegazioni il governo israeliano potrebbe anche negare, secondo quanto riportano alcuni media israeliani, l’ingresso nel Paese.
C’è poi un altro dossier che potrebbe acuire le tensioni in tutta la regione: un possibile attacco israeliano contro installazioni nucleari iraniane. Secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Hareetz, infatti, all’interno dell’esecutivo israeliano sarebbe in corso un vero e proprio braccio di ferro che vedrebbe schierati da una parte Netanyahu e il ministro della Difesa Ehud Barak (pro-intervento) e dall’altra diversi ministri decisamente contrari, come anche i vertici militari, a un’azione di questo tipo, convinti della necessità d proseguire sulla strada delle sanzioni economiche internazionali contro Teheran. Senza considerare che molti, all’interno del governo, considerano da scongiurare a ogni costo un’opzione militare che non abbia l’appoggio di Washington.
Secondo Hareetz, a pesare sulla decisione finale di Tel Aviv potrebbero essere le conclusioni del rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sul dossier iraniano, che dovrebbero essere rese pubbliche martedì prossimo.
Teheran, intanto, ha fatto sapere che nel caso non starà certo a guardare, minacciando una reazione militare. “Faremo loro rimpiangere un simile errore e li puniremo severamente”, ha detto il Capo di Stato maggiore iraniano Hassan Firouzabadi, lanciando poi un avvertimento anche a Washington: “Gli Stati Uniti sappiano che ogni attacco del regime sionista contro l’Iran – ha proseguito Firouzabadi – Produrrà seri danni, non solo contro questo regime ma anche contro gli Usa”.
Fonte: lettera22 e il Fatto Quotidiano
3 novembre 2011