Tagli all’editoria, un problema drammatico
Vincenzo Vita - articolo21.org
L’allarme è di quelli seri e drammatici. Senza retorica. Dopo la bocciatura da parte del governo e della maggioranza degli emendamenti delle opposizioni tesi a ripristinare il Fondo per l’editoria, il rischio ‘chiusura’ per i settori più deboli è concreto.
Dopo la bocciatura da parte del governo e della maggioranza degli emendamenti delle opposizioni tesi a ripristinare il Fondo per l’editoria e quello per lo spettacolo nel corso dei lavori sulla legge finanziaria nella commissione bilancio del Senato, il rischio ‘chiusura’ per i settori più deboli è concreto. Dai teatri, alle attività musicali, alla produzione cinematografica e audiovisiva, alla danza. Ai giornali di cooperative, di editori non profit o di partito, ivi comprese le testate delle minoranze linguistiche e degli italiani all’estero. In quest’ultimo caso, poi, la maggioranza ha smentito sé stessa, bocciando gli emendamenti che aveva presentato o sottoscritto, resi pubblici in una conferenza stampa il 3 dicembre scorso. Sono 26 i quotidiani che rischiano davvero di chiudere subito, da ‘Il Manifesto’, a ‘Liberazione’, a ‘Europa’, a ‘La Padania’, al ‘Secolo d’Italia,a ‘Il Corriere Mercantile, a ‘Bari sera’, a ‘La Voce di Mantova’, a ‘Carta’, a ‘Left’, a ‘Il salvagente’ ; o che subiranno ridimensionamenti forti. Un centinaio entro un anno. Speriamo di sbagliare, ma c’è da temere che la realtà sia esattamente questa. Dopo il taglio del decreto Tremonti di luglio, che tra l’altro eliminava lo stesso diritto soggettivo delle testate ad avere i contributi, ripristinato in prima lettura dalla Camera dei deputati nel disegno di legge n. 1195 sullo sviluppo, ora in seconda lettura al Senato e tuttora a rischio. Taglio di 83 milioni di euro per il 2009 su 387 disponibili (già sotto la sufficienza, stimata in 589), di cui ‘solo’ 305 predestinati a coprire i contributi indiretti –tariffe agevolate varie- sui quali la parte del leone viene fatta dai grandi gruppi editoriali quotati in borsa: ‘Sole 24 ore’, Corriere della sera’, ‘Repubblica’, ad esempio. Quindi, se non passa l’emendamento volto a rimettere un po’ di risorse nel Fondo, la capienza è -1, meno di zero. Mentre si sta discutendo nelle commissioni parlamentari competenti del regolamento di attuazione previsto dal citato decreto 112 (legge 133), che prefigura una sorta di riforma dell’editoria, auspicata dal sottosegretario Bonaiuti. Ma quale regolamento o quali evocati Stati generali dell’editoria di fronte alla scomparsa dei giornali, senza neppure aver provato a risparmiare davvero eliminando le provvidenze date ai presunti giornali di ‘movimenti politici’, che sono tutt’altro o non vanno neanche in edicola?
L’ultimo appello sarà tra qualche giorno, a partire da martedì prossimo, nel dibattito nell’aula del Senato sulla Finanziaria. Gli emendamenti su editoria, spettacolo e beni culturali saranno ripresentati. Mobilitiamoci. Il diritto all’informazione e al sapere è decisivo, è la premessa –come la libertà personale- per poter esercitare anche gli altri diritti. Che non finisca con la scena della distruzione della cultura di ‘Fahrenheit 451’, ambientata magari sull’’Isola dei famosi’.
Fonte: L'Unità (7 dicembre 2008)