Sulla nuova Libia, la macchia degli abusi sui detenuti
Amnesty International Italia
In un nuovo rapporto, Amnesty International rivela un quadro di percosse e maltrattamenti nei confronti di soldati dell’esercito di Gheddafi, presunti lealisti e sospetti mercenari nella Libia occidentale.
Un nuovo rapporto diffuso il 23 ottobre da Amnesty International, dal titolo "Sulla nuova Libia, la macchia degli abusi sui detenuti", ha rivelato un quadro di percosse e maltrattamenti nei confronti di soldati dell'esercito di Gheddafi, presunti lealisti e sospetti mercenari nella Libia occidentale. In alcuni casi, sono state riscontrate evidenti prove dell'uso della tortura per estorcere confessioni o per punire i detenuti. Amnesty International ha sollecitato le nuove autorità libiche a porre fine alle detenzioni arbitrarie e ai diffusi abusi ai danni dei detenuti.
"Il rischio è che, senza un'azione ferma e immediata, il passato possa ripetersi. Gli arresti arbitrari e la tortura erano una costante del regime del colonnello Gheddafi" – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice per l'Africa del Nord e il Medio Oriente di Amnesty International. "Siamo consapevoli delle molte sfide che le autorità di transizione stanno affrontando, ma se non si spezzano i legami col passato in questo momento, daranno il segnale che nella nuova Libia trattare i detenuti in questo modo sarà tollerato".
Dalla fine di agosto, le milizie armate hanno arrestato e imprigionato circa 2500 persone a Tripoli e al-Zawiya. Secondo Amnesty International, questi provvedimenti sono stati eseguiti quasi sempre in assenza di un mandato di cattura e del coinvolgimento della Procura generale. I detenuti sono posti nelle mani di consigli locali civili o militari o di brigate armate, lontano dalla supervisione del ministero della Giustizia.
Amnesty International ha intervistato circa 300 detenuti tra agosto e settembre in 11 centri di detenzione di Tripoli e al-Zawiya. A nessuno di loro era stato esibito un mandato di cattura e molti erano stati portati via dalle loro abitazioni da persone che non si erano identificate e che erano alla caccia di presunti combattenti o lealisti di Gheddafi.
Almeno due guardie, in due distinti centri di detenzione, hanno ammesso ad Amnesty International di aver picchiato i detenuti per ottenere "confessioni" più rapidamente.
In un centro di detenzione, l'organizzazione per i diritti umani ha rinvenuto un bastone di legno, una corda e un tubo di gomma di tipo simile a quelli che vengono usati per picchiare i detenuti col metodo della falaqa (le percosse sulla pianta del piede). In un altro centro di detenzione, i suoi delegati hanno udito urla e il sibilo delle frustate da una cella.
I detenuti hanno riferito che le percosse e le torture sono più gravi al momento del "benvenuto", all'arrivo nel centro di detenzione.
I cittadini dell'Africa subsahariana, sospettati di essere mercenari, costituiscono tra un terzo e la metà dei detenuti. Alcuni di essi sono stati rilasciati dopo che non era emersa alcuna prova nei loro confronti.
Un uomo del Niger, inizialmente presentato ad Amnesty International come "mercenario e assassino", ha rivelato di essere staro costretto a "confessare" dopo quasi due giorni di pestaggi ininterrotti.
I libici neri, provenienti soprattutto dalla regione di Tawargha, da cui le forze di Gheddafi partivano per cercare di riconquistare Misurata, sono particolarmente a rischio. Decine di essi sono stati catturati in casa, ai posti di blocco e persino in ospedale.
L'organizzazione per i diritti umani ha anche scoperto la presenza di minorenni insieme ai detenuti adulti e che le detenute sono controllate da personale maschile.
Un 17enne del Ciad, accusato di essere uno stupratore e un mercenario, ha riferito ad Amnesty International di essere stato catturato nella sua abitazione, ad agosto, e di essere stato poi trasferito in una scuola dove è stato preso a pugni e percosso con bastoni, cinture, calci dei fucili e cavi di gomma. "Alla fine ho detto quello che volevano sentire; che avevo stuprato le donne e ucciso i libici" – ha raccontato.
Amnesty International ha chiesto al Consiglio nazionale di transizione (Cnt) di garantire che non vi siano detenzioni in assenza di un ordine di custodia del procuratore generale, che tutti i centri di detenzione siano posti sotto il controllo del ministero della Giustizia e che ogni detenuto possa presentare ricorso contro la legittimità della sua detenzione.
I procedimenti giudiziari nella Libia occidentale sono stati sospesi da quando il Cnt ha assunto il controllo della regione. Nella Libia orientale, restano tuttora sospesi.
Nel corso di colloqui con Amnesty International avvenuti a settembre, rappresentanti del Cnt hanno ammesso le detenzioni arbitrarie e i maltrattamenti e si sono impegnati a fare di più per riprendere il controllo sulle milizie armate e assicurare che tutti i detenuti beneficino allo stesso modo delle protezioni di legge.
"Il Cnt deve agire con urgenza per tradurre in azioni i suoi impegni pubblici, prima che gli abusi nei confronti dei detenuti diventino sistemici e segnino una macchia nella situazione dei diritti umani della nuova Libia. Le autorità non possono consentire che questo vada avanti in quanto sono in una 'fase di transizione'. I detenuti devono essere messi in grado di potersi difendere oppure vanno rilasciati" – ha commentato Sahraoui.
Scarica il rapporto in inglese "Sulla nuova Libia, la macchia degli abusi sui detenuti"
Fonte: Amnesty International
13 ottobre 2011