Sud Sudan, la festa e le sfide
Irene Panozzo, Lettera 22
Il Sud Sudan diventa indipendente. Ma è uno degli stati più poveri al mondo. Le sfide per il futuro non riguarderanno quindi solo dinamiche politiche e militari, interne e nei rapporti con Khartoum.
Juba – Strade, macchine e vecchi minibus rattoppati decorati con bandiere al vento, un clima di festa che regna sovrano, assieme al caos delle procedure burocratiche dell'ultimo minuto per invitati e giornalisti: Juba, la capitale del Sudan meridionale è quasi pronta per uno dei giorni più importanti della storia della regione. Il giorno in cui il Sud Sudan diventa uno stato indipendente, il nuovo nato delle mappe geografiche dell'Africa e del mondo.
Il 9 luglio 2011 rimarrà negli annali sudsudanesi come il giorno della “liberazione”. È così la stragrande maggioranza della popolazione – che a gennaio con un secco 98,9% ha votato a favore della secessione dal paese più grande del continente in un referendum per l'autodeterminazione risultato gioioso, ordinato e orgoglioso oltre ogni più rosea previsione – vive il momento della nascita della nuova nazione. Dai cartelloni che decorano le strade della città, è chiaro il riferimento a una lotta ben più lunga della “sola” ultima guerra civile contro il Nord, durata dal 1983 al 2005.
Nei sei anni e mezzo dalla firma del trattato di pace firmato a Nairobi il 9 gennaio 2005 e in scadenza oggi, il Sud Sudan ha avviato una lenta ricostruzione, creando delle strutture amministrative e le basi per un governo della regione. Il nuovo stato non inizierà quindi da zero. Ma più di cinquant'anni di incuria da parte delle autorità coloniali anglo-egiziane seguiti da altrettanti di conflitti armati sia contro il Nord che all'interno dello stesso Sud hanno reso il Sudan meridionale una delle regioni più povere e sottosviluppate al mondo.
Accanto alle sfide politiche e militari sia interne che esterne, a partire da quelle legate al rapporto con l'ex capitale Khartoum e alle molte questioni ancora in sospeso tra i due paesi, il governo della nuova Repubblica del Sud Sudan dovrà quindi necessariamente cercare di garantire standard sociali ed economici migliori alla sua popolazione. È quello che la gente si aspetta, è il motivo per cui così tanti hanno scelto senza nessun tentennamento la via dell'indipendenza.
La ricchezza petrolifera non basterà a coprire le necessità del nuovo stato, che sono enormi. Il Sud Sudan è grande poco più di due volte l'Italia, un territorio immenso e difficile abitato da 8,26 milioni di persone. Più della metà (51%) sono sotto i 18 anni. La stessa percentuale di sud-sudanesi vive sotto la linea di povertà, mentre solo il 27% della popolazione adulta è alfabetizzata, una percentuale che scende al 16% se si considera solo la popolazione adulta femminile. Se si escludono i circa 60 km di strade asfaltate presenti nella capitale Juba, la regione è sostanzialmente priva di strade percorribili durante tutto l'anno. A guardare i dati sanitari, ricordati ieri da AMREF, che dal 1998 sostiene l'unico centro di formazione istituzionale per assistente medici di tutto il paese, a Maridi, la situazione è ancora peggiore: il 48% dei bambini sotto i cinque anni è malnutrito, il 95% dei parti avviene senza assistenza specialistica e una donna su sette rischia la morte per parto, il tasso di mortalità materna più alto al mondo.
La comunità internazionale, in questi sei anni di pace rimasta presente e attiva nella regione, dovrà quindi continuare a investire in aiuto d'emergenza e in sviluppo. “Andare via adesso sarebbe una catastrofe”, dice Davide Berruti, capo missione per il Sud Sudan dell'ong italiana Intersos. “Le organizzazioni non governative e le agenzie internazionali che lavorano nelle zone più remote del paese lo sanno bene, non è pensabile interrompere oggi le attività di risposta alle emergenze. Nello stesso modo si devono continuare ad accompagnare sulla via di uno sviluppo sostenibile e democratico le aree più sviluppate della regione”. Inoltre, ricorda ancora Berruti, “la conflittualità interna al Sud Sudan rimane molto alta e la comunità umanitaria affronta ogni giorno le nuove emergenze alimentate dagli scontri inter-tribali” e dalle ribellioni interne che negli ultimi mesi hanno ripreso quota.
Nonostante tutto, i sudsudanesi sono arrivati a questo giorno pieni di speranza. E di determinazione a far funzionare il loro nuovo paese. Sanno che sarà una strada in salita. Ma, si sente ripetere spesso per le strade di Juba, “abbiamo combattuto per decenni, sappiamo avere pazienza”. Che la nuova avventura abbia inizio.
Fonte: www.lettera22.it
9 Luglio 2011