Stupro e violenza sulle donne arma globale
L’Osservatore Romano
A colloquio con il premio Nobel per la pace Denis Mukwege.
«La risoluzione dell’Onu contro gli stupri come arma da guerra è un punto di partenza, ma ora bisogna moltiplicare l’attenzione e impegnarsi davvero perché cambi la mentalità patriarcale che dà vita e sostiene tante logiche di violenza contro le donne».
Con queste parole Denis Mukwege, premio Nobel per il suo impegno di medico a favore delle vittime in Congo, esprime soddisfazione per il pronunciamento delle Nazioni Unite, formalizzato tre settimane fa, che riconosce l’uso dello stupro come drammatica e sistematica strategia di guerra, ma sottolinea anche che può essere solo «un punto di partenza».
Lo incontriamo a Bruxelles, dove è impegnato a sostenere la campagna #School4All, voluta dall’Ue per raggiungere i 75 milioni di minori senza istruzione nel mondo. La prima riflessione che sottolinea è che «senza istruzione non c’è protezione».
Mukwege da 19 anni opera nell’ospedale Panzi a Bukavu, in quella che definisce «una situazione formale né di guerra né di pace, ma di autentica impunità», in cui lo «stupro è usato come l’arma più economica di guerra». A dicembre 2014 è stato insignito del premio Sacharov del parlamento europeo perché — ci ricorda oggi — «in un mondo di inversione di valori, rifiutare la violenza significa essere dissidente». Nel 2018 ha ricevuto il Nobel per la pace insieme con Nadia Murad, una delle yazide ridotte a schiave del sesso dagli uomini del sedicente stato islamico (Is) in Iraq. Ricordandolo, afferma con forza: «A violare le donne sono anche tutti gli uomini che di fronte a tutto ciò tacciono».
Il ginecologo cura il fisico di queste giovanissime, anche bambine piccolissime, violate e segnate brutalmente nei corpi in modo che si sappia da quale clan criminale sono state colpite, in un equilibrio disumano di predominazione.
Ma cura anche i diritti sistematicamente altrettanto violati di queste donne, denunciando da anni con grandissimo coraggio quello che succede nel difficile paese africano della regione dei Grandi Laghi, dove il commercio di oro, diamanti, rame, coltan, cobalto muove interessi e armi. E, a dispetto di qualunque guerra dei dazi, è davvero globale. Mukwege ci dice: nessun paese si senta escluso. Il suo straordinario impegno è ormai noto e la comunità internazionale gli assicura la protezione che lo ha salvato da diversi attentati. «Cercano di colpirmi — ci spiega — non perché curo i corpi, ma perché rivendico lo statuto di vittime per le donne violentate e per i loro bambini». Mukwage raccomanda di riferire che, oltre allo strazio letto nei corpi, c’è la disperazione delle donne che vengono stuprate e alle quali poi viene imposta la presenza ogni giorno degli uomini che le hanno «violate nell’intimità e nell’anima». C’è lo sgomento di «donne alle quali viene imposto di obbedire agli uomini che hanno violato le loro figlie». E c’è l’angoscia, e spesso il rifiuto, per i figli avuti da barbare violenze.
«Tutta questa trama di fragilità psicologiche va ricucita», ci spiega, sottolineando che «bisogna tutelare i figli frutto di stupri» perché sono anche loro «vittime della violenza inaudita che troppo spesso li fa odiare dalle proprie madri e dalla comunità. La prima cosa è salvarli», ci confida: la tentazione di aborti affidati a mani peraltro incompetenti è forte per giovanissime disperate che vedono i propri figli come seconda violenza: un impedimento al ritorno a una vita normale».
Mukwege grida al mondo questo orrore di «una violenza che spezza il legame più bello e più forte: quello di una madre con il proprio figlio». E accade non solo in Congo. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, il 23 aprile scorso, quando al Consiglio di sicurezza la risoluzione 1820 è stata approvata — con 13 voti a favore e due astenuti (Russia e Cina) — ha dichiarato: «Nonostante numerosi sforzi, la violenza sessuale continua ad essere una caratteristica orribile dei conflitti in tutto il mondo, usata deliberatamente come arma di guerra». «Dobbiamo riconoscere che lo stupro in guerra riporta a questioni più ampie come la discriminazione sessuale», ha proseguito, sottolineando che c’è «un’impunità diffusa» e la «maggior parte di questi crimini non viene denunciata, investigata o perseguita».
Dopo la risoluzione, Mukwege chiede un’azione coraggiosa e responsabile, nel suo paese e altrove, contro quella che definisce «una società che a livello mondiale autorizza la predominanza degli uomini sulle donne». Il ginecologo spiega che «la violenza che in contesti di conflitto diventa bruta disumanità su ragazzine, normalmente si esprime in tanti modi a cominciare dalla maggiore esclusione dell’universo femminile dai percorsi formativi e dalle stanze del potere. Le decisioni in tema di politica, di economia, di capacità di scatenare conflitti — ci dice Mukwege — sono in mano agli uomini, ovunque nel mondo: sono loro a stuprare le donne, così come fanno violenza a sane dinamiche di convivenza e di pace».
dal nostro inviato
Fausta Speranza