Stremati da pioggia e fame. Gli immigrati giù dalla gru


Beatrice Raspa


Gli immigrati erano saliti sulla gru per protesta il 30 ottobre. Gli immigrati hanno salutato la folla e sono stati accompagnati verso le auto che hanno accompagnato i quattro in Questura, a Brescia.


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Stremati da pioggia e fame. Gli immigrati giù dalla gru

Sono scesi. Una pioggia torrenziale ha accompagnato la fine di una protesta che Brescia non potrà dimenticare facilmente. Jimi, Sajad, Rachid e Arun, i quattro immigrati provenienti dal Pakistan, dal Marocco e dall'Egitto dopo 16 giorni hanno ripercorso a ritroso gli scalini ripidi di una scala a chiocciola che quel sabato pomeriggio, era il 30 ottobre, avevano scalato velocemente per arrampicarsi sulla gru del cantiere metrobus di via San Faustino. Una fuga durante una manifestazione concitata promossa in città per protestare contro la mancata regolarizzazione per colpa della «sanatoria truffa», loro che come migliaia di altri clandestini hanno pagato 500 euro, oltre a un anno di contributi, e a volte pure un «pizzo» di 3-4mila euro ai datori di lavoro per ambire a una vita alla luce del sole. Da allora la cabina a 35 metri d'altezza che domina il multietnico e centrale quartiere Carmine era diventata l'epicentro delle rivendicazioni di quanti non ne possono più di vivere da fantasmi, «truffati dallo Stato e dagli imprenditori».

Ma la gru è diventata anche la spina nel fianco della città, in cui giorno dopo giorno era lievitata una esasperazione crescente: «Stiamo perdendo i bresciani, i miei parrocchiani sono ormai insofferenti» ha ripetuto don Mario Toffari, Ufficio Migranti della Diocesi, fervente mediatore. Dopo giorni di trattativa in chiaroscuro – solo Singh, indiano di 26 anni, e Papa, senegalese di 21, avevano abbandonato la protesta prima – la situazione è giunta a una svolta grazie a un ultimo tentativo di mediazione a opera di Don Mario, in rappresentanza della Chiesa, Cgil e Cisl.

Domenica sera padre Toffari, con i segretari provinciali dei sindacati, Damiano Galletti e Renato Zaltieri, si sono dati appuntamento ai piedi della gru sulla quale hanno spedito una lettera. «La vostra protesta ha messo in luce la drammaticità di una situazione di cui non si può non tener conto», recita lo scritto fatto salire con le carrucole. Sul piatto, le proposte che già il 2 novembre erano uscite dalle ripetute riunioni in prefettura (ma allora furono rifiutate) ovvero la garanzia di un tavolo sull'immigrazione e di un presidio gestito da sindacati e Curia. In più, assistenza legale con avvocati di fiducia e assicurazione di un trattamento umanitario. «Ragazzi – aveva scandito al megafono da 300 metri di distanza Umberto Gobbi, il leader dell'associazione Diritti per tutti che ha supportato la protesta – in queste offerte non vi sono garanzie per il vostro futuro, ma se scenderete sappiate che sarete ugualmente nel nostro cuore». Ieri la giornata è stata lunga, tra riunioni in prefettura estese al collegio legale degli occupanti (cui è stata garantita la permanenza temporanea in Italia per motivi di giustizia) e un parlamentare degli stessi con gli assistiti in quota mediante walkie talkie e frasi urlate al cielo. Ancora braccio di ferro: «Scendiamo se garantite la sospensiva del rigetto anche ai 1700 che avevano fatto domanda e ora si trovano nella nostra condizione».

In realtà, si scoprirà, le posizioni giuridiche di 4 stranieri su sei sono ancora in itinere. Il rilancio prevedeva dunque una moratoria generalizzata, cui il prefetto Livia Brassesco Pace ha detto no. Infine, calate coperte e vestiti a terra, eccoli. Uno dopo l'altro, lenti, salutando la piccola folla, si sono guadagnati la strada, come eroi della disperazione. Tra gli applausi. Arun, dall'auto con cui è stato condotto in Questura con gli altri, faceva il segno V di vittoria. «Qualcuno sta esasperando la situazione – ha evidenziato il questore Montemagno -. Il lancio di bottiglie, sassi e bombe carta contro le forze dell'ordine è stato preordinato».

Fonte: La Stampa

16 novembre 2010

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