Storia di venti tunisini dimenticati su Linosa
Mariagrazia Gerina - unita.it
“Uno sbarco invisibile. Di cui nessuno sembra essersi accorto. A chi interessano d’altra parte venti profughi tunisini confinati sulla piccola isola di Linosa?”
Uno sbarco invisibile. Di cui nessuno sembra essersi accorto. A chi interessano d’altra parte venti profughi tunisini confinati sulla piccola isola di Linosa? Sulla minore delle Pelagie, proprio dove Emanuele Crialese ha girato il suo ultimo film Terraferma, che racconta di migranti e di noi, i venti profughi sono sbarcati lo scorso giovedì. Fuori tempo, rispetto ai ventimila tunisini arrivati nei primi mesi dell’anno. E appena fuori dalla rotta più consueta.
Da allora sono lì. In una sorta di anti-purgatorio, che ha la forma di un campetto di calcio. Nella speranza di essere trasferiti in quel purgatorio ufficiale che è Lampedusa, con il suo Centro d’accoglienza, la ex base militare riadattata per ospitare i minori, il Poliambulatorio. Oppure, direttamente sulla terraferma, che forse sarebbe meglio.
A Linosa non ci sono strutture d’accoglienza. Quella più vicina è il centro di Contrada Imbriacola. A Lampedusa, appunto. Come il primo presidio ospedaliero. A Linosa, niente. L’isola è un fazzoletto di terra vulcanica di cinque chilometri quadrati e quattrocento anime (più i turisti, l’estate). Meravigliosa e ancora al riparo dalle rotte più battute.
Eppure capita, ogni tanto, nella realtà, non solo nel film di Crialese, che i migranti, in piccoli gruppi, approdino anche qui. Venti persone, trenta. Sull’ultimo barcone, quello sbarcato a Linosa giovedì, c’erano anche Mansoura, una giovane donna tunisina, e sua figlia, Nabjil, un fagottino di appena due mesi, avvolto in fasce coloratissime, che ancora succhia il latte, ma ha problemi di intolleranza alimentare. Un turista le ha riprese con il telefonino mentre fanno avanti e indietro sul molo di Linosa: sembrano l’immagine della Madonnina che gli isolani, a fine luglio, portano in processione affidandole tutti i morti in mare dell’anno. Una processione antica. E così tragicamente riportata alla modernità dai barconi malcerti che salpano dall’Africa, sfidando il Mediterraneo.
Una massa umana in cui Mansoura e Nabjil si intravedono a stento. Partite da Monastir, punta estrema del golfo di Hammamet, come la maggior parte dei loro compagni di viaggio. Meta, la Francia, dove il marito di Mansoura le ha precedute.
E intanto, l’anti-purgatorio di Linosa. Un campo di calcio, gli spogliatoi con i materassi messi a terra e due carabinieri che fanno guardia. Questa, in assenza di strutture, è l’accoglienza. I ragazzini milanesi che ogni anno vengono in vacanza ci sono rimasti un po’ male. Il loro abituale torneo stavolta rischia di sfumare. I tunisini, invece, scrutano l’orizzonte.
Persino Lampedusa, vista da qui, ha la forma di un miraggio. Mansoura e Nabjil lo hanno inseguito come una beffa. Il giorno dopo lo sbarco le hanno fatte salire sul traghetto che fa la spola tra le Pelagie, ma una volta arrivate a destinazione si sono viste rispedire indietro. Viaggio a vuoto, a parte il latte in polvere per la piccola Nabjl comprato in farmacia. La seconda volta, domenica scorsa, il trasferimento è riuscito. Ma la loro odissea non è ancora finita. Lunedì un’altra beffa. Le avevano già fatte salire con altri 500 migranti sulla nave Audacia, attraccata ieri mattina a Taranto. Ma il medico di bordo le ha fatte scendere di nuovo. Non è un viaggio per neonati quella traversata che dura troppe ore e stordisce anche gli uomini più forti.
Nabjil e la mamma aspettano il prossimo viaggio nel centro ci Contrada Imbriacola. «Stanno bene», assicura il direttore del Poliambulatorio Pietro Bartòlo, che ieri ha fatto visitare la piccola Nabjil dalla pediatra. Solo, aspettano ancora di toccare, davvero, terraferma. Come gli altri diciotto compagni di viaggio che sono ancora a Linosa. Un paio di loro dicono di essere minori. Uno dei pochi vantaggi è il cibo: cucinato, in appalto, da una delle tre trattorie dell’isola, è certamente più buono di quello servito a Contrada Imbriacola dalla Lampedusa Accoglienza. «Maccaroni, maccaroni…».
Fonte: http://www.unita.it
10 agosto 2011