Speranze di pace in Sud Sudan


L’Osservatore Romano


Le due fazioni in conflitto hanno firmato un cessate il fuoco permanente.


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An handout image of refugees in Siria, Iraq, Yemen, Sud Sudan, provided by Oxfam on 15 September 2016. Close to four million refugees and asylum seekers have fled from one conflict zone to another, Oxfam said today ahead of two summits on migration in New York next week. Oxfam analysis shows that these millions of vulnerable women, men and children were registered in 15 countries - having fled their own - where conflict had caused a total of 161,250 deaths. That's almost 16 per cent of all people who have fled violence, persecution or war at home as they have ended up in another country that is itself in conflict or in a state of insecurity. ANSA / OXFAM PRESS OFFICE
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Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il suo grande rivale, Riek Machar, si sono accordati ieri per un cessate il fuoco «permanente» da attuare nelle prossime 72 ore, un’intesa che rilancia le speranze di pace in questo paese martoriato da una guerra devastante.

L’accordo è giunto alla fine di un giro di incontri nella capitale Khartoum, dopo che l’Onu ha indicato fine giugno come termine per raggiungere un «accordo politico valido», per non incorrere in eventuali sanzioni. Alla firma del documento da parte di Kiir e Machar, la «Dichiarazione di Khartoum», era presente anche il presidente sudanese, Omar al-Bashir.

«Il giorno tanto atteso dalla nostra popolazione del Sud Sudan è oggi arrivato, offriamo questo accordo in regalo ai sudsudanesi», ha dichiarato Kiir, mentre Machar ha aggiunto che il cessate il fuoco è «un preludio alla fine del conflitto» tra le due fazioni. Anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha espresso soddisfazione per l’accordo e per «l’impegno di entrambe le parti per raddoppiare gli sforzi nell’interesse della pace», sottolineando che l’Onu resta a disposizione per sostenere «la leadership e il popolo del Sud Sudan nella ricerca di un accordo giusto e globale».

Le trattative a Khartoum erano iniziate dopo il summit a Addis Abeba tra i paesi dell’Africa orientale che si era concluso senza nuove aperture. La dichiarazione di ieri prevede il disimpegno militare, il ritiro di tutte le forze alleate, l’apertura di corridoi umanitari e la liberazione dei prigionieri di guerra e dei detenuti politici. Viene inoltre accettata la presenza di forze dell’Unione africana e dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, un’organizzazione economica di paesi dell’est africano per controllare il cessate il fuoco.

Sul piano politico, un governo di transizione dovrà essere formato entro 120 giorni e sarà chiamato a governare per tre anni. «Durante il periodo di transizione, il paese dovrà prepararsi a elezioni nazionali, libere e aperte a tutti il partiti» si legge nell’accordo.

28 giugno 2018

Osservatore Romano

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