Somalia: non è possibile andare avanti così!


Padre Giulio Albanese


Inedia e pandemie, guerre e carestie, sono una costante in molti Paesi dell’Africa Subsahariana, soprattutto in quelli della fascia Saheliana e del Corno d’Africa.


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attentatosomalia

Come già scritto tante volte su questo Blog, inedia e pandemie, guerre e carestie, sono una costante in molti Paesi dell’Africa Subsahariana, soprattutto in quelli della fascia Saheliana e del Corno d’Africa. E proprio di ieri la notizia dell’ennesimo attentato terroristico a Mogadiscio, in Somalia, perpetrato dalle solite formazioni estremiste islamiche, foraggiate dai salafiti sauditi. Undici le vittime finora accertate, in un contesto dove la stragrande maggioranza della popolazione vive, o meglio, sopravvive in condizioni subumane. Ecco perché s’impone un serio discernimento, trattandosi di una questione irrisolta che interpella la coscienza di ogni uomo e donna di buona volontà. Ma andiamo per ordine.

Lungi da ogni retorica, le ragioni di questo permanente degrado della condizione umana, per dirla con le parole di Christian Coméliau, sono legate alla povertà che “non può essere intesa come una fatalità del destino, né uno stato, né tanto meno una categoria sociale, ma un processo di esclusione determinato dalle ineguaglianze strutturali”. In effetti, stiamo parlando di Paesi dove il jihadismo spinto, ovvero la strumentalizzazione ideologica della religione per fini eversivi, come anche l’emarginazione di vastissimi settori delle popolazioni autoctone dalla gestione della res publica, sostenuta da un’accesa conflittualità, rendono questo scenario a dir poco incandescente. Una fenomenologia con le caratteristiche tipiche del circolo vizioso, in cui i diversi fattori interagiscono tra loro, penalizzando ogni anno milioni di innocenti. Ciò che, comunque, sconcerta è l’omertà della comunità internazionale rispetto alle vicende di questi Paesi, Somalia in primis. E sì, perché se da una parte è evidente che l’Africa rappresenti la linea di faglia tra opposti interessi geostrategici, legati – almeno in parte – al controllo delle immense fonti energetiche presenti nel sottosuolo (che vanno dal petrolio al gas naturale fino all’uranio), vi sono anche altre negligenze che coinvolgono le classi dirigenti locali (troppo spesso assetate di denaro) e di certi grandi benefattori o presunti tali. Ad esempio, da troppi anni a Mogadiscio e dintorni, come anche nel resto del Corno d’Africa, il consesso delle nazioni anziché promuovere una cooperazione allo sviluppo che tenesse conto degli effettivi bisogni del territorio, ha risposto spesso e volentieri alle cicliche calamità climatiche, poco importa che si trattasse di siccità o inondazioni, e alle crisi armate promuovendo interventi d’emergenza con modalità che hanno finito per acuire a dismisura la dipendenza delle popolazioni africane dagli aiuti stranieri. E cosa dire delle speculazioni finanziarie legate alla compravendita di fondi di investimento? Si tratta di “futures” sui prodotti agricoli che non vengono più solo acquistati da chi ha un interesse diretto in quel determinato mercato seguendo le tradizionali leggi della domanda e dell’offerta, ma anche di soggetti finanziari come i fondi pensione, che investono grandi somme di denaro con l’obiettivo esclusivo di ottenere il miglior rendimento. Col risultato che si determinano impennate dei costi alimentari, soprattutto dei cereali in contesti dove la solidarietà dovrebbe prendere il sopravvento sulle spietate regole del business. Parliamo di Paesi in cui la gente destina più dell’80% del proprio reddito al fabbisogno alimentare e che, nell’attuale congiuntura, non sono assolutamente in grado di far fronte all’aumento indiscriminato dei prezzi del cibo. Ecco perché sarebbe auspicabile che la diplomazia internazionale iniziasse ad affrontare l’agenda politica di queste nazioni, partendo dalla prossima conferenza internazionale sulla Somalia, che si terrà a Londra domani. Un evento, questo, a cui prenderà parte la neoministra Emma Bonino, alla sua prima uscita internazionale.

Ciò che conta è guardare ai problemi in una prospettiva olistica e non segmentata nei tradizionali settori d’intervento, quasi fossero realtà a sé stanti (emergenze umanitarie, peace-building, aiuti allo sviluppo) e che tenga conto delle varie componenti che hanno fatto di quel Paese un autentico calvario. Ma ciò sarà possibile solo e unicamente quando si avrà l’onesta intellettuale di affermare nella politica internazionale, un multilateralismo dalla parte dell’uomo e non ostaggio dei soliti interessi mercantili, quelli asserviti al dio denaro.

Fonte: http://blog.vita.it/africana
6 maggio 2013

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