Solo il diritto di morire
Milena Nebbia
Intervista a Luisa Morgantini, vice presidente del Parlamento europeo, che racconta il suo ultimo viaggio nella Striscia di Gaza con una delegazione di parlamentari europei dei diversi gruppi politici.
Sono 255 i malati di Gaza morti dal giugno del 2007 perché non hanno ottenuto dalle autorità israeliane il permesso di uscire e farsi curare altrove, mentre le chiusure impediscono agli ospedali della Striscia di rifornirsi anche delle più basilari medicine.
Indifferenza letale. A denunciarlo è Luisa Morgantini, vicepresidente del Parlamento Europeo che si è recata nei giorni scorsi nella West Bank e nella Striscia di Gaza con una delegazione di parlamentari europei dei diversi gruppi politici. ''La situazione permane tragica e drammatica e quello che è veramente grave è che la comunità internazionale continua ad avallare l'embargo israeliano nella Striscia – dice la Morgantini – i prezzi sono triplicati, il 95 percento delle imprese sono chiuse, dilaga il contrabbando, le persone non hanno possibilità di movimento, nemmeno quando necessitano cure sanitarie per patologie gravi''. E la gente continua a morire. L'ultimo, Ahmed Al-Shafey, un anziano di 76 anni, deceduto lo scorso 28 ottobre per un'infezione renale: per motivi di sicurezza le autorità israeliane non l'hanno fatto uscire da Gaza. Come la piccola Hani, tre anni, morta il 14 ottobre perché la proteina necessaria per il nutrimento del suo cervello e di cui era carente a Gaza non si trovava: anche per lei nessun permesso e la sua vita è stata stroncata. ''Il 35 percento di questi decessi riguarda i bambini – prosegue – morti senza un atto né una parola spesi dalla comunità internazionale per denunciare la punizione collettiva del milione e mezzo di civili della Striscia. Eppure da tempo organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali, Unrwa, Croce Rossa Internazionale, Physician for Human Rights, Amnesty International, Bet'selem e altre denunciano la crisi umanitaria senza precedenti a Gaza, le responsabilità dell'assedio israeliano. Ma cosa fanno l'Unione Europea, gli Arabi, le Nazioni Unite?''. ''In questi giorni abbiamo visto SS Dignity, la seconda nave di attivisti palestinesi e internazionali organizzata dal movimento Free Gaza arrivare nella Striscia con mezza tonnellata di medicinali e altri aiuti umanitari, nulla rispetto ai bisogni, ma molto a livello simbolico per rompere l'isolamento e la prigione a cielo aperto in cui vive la popolazione di Gaza'', racconta l'europarlamentare.
La fine dei diritti. ''Quando non esiste più il diritto di accesso alle cure sanitarie, il diritto ad una vita dignitosa, il diritto alla sicurezza e nemmeno il diritto all'infanzia, allora rimane solo la vergogna, quella di chi è responsabile di questa situazione immorale: le autorità israeliane in primis ma anche il silenzio complice della comunità internazionale, perché sarà anche colpa nostra se Jihad, 12 anni, nei prossimi mesi dovesse morire – dichiara la Morgantini – A lui circa un anno fa è stata diagnosticata una grave leucemia che non può essere curata a Gaza. Il bambino ha ottenuto il permesso di andare in Israele per fare la chemioterapia a patto di ritornare nella Striscia dopo ogni trattamento. Nonostante le forti nausee derivanti dalla terapia e sebbene il medico abbia confermato l'alto rischio di viaggi ricorrenti e ricordato la necessità di un ambiente sterile in cui il ragazzo dovrebbe vivere, le autorità israeliane si rifiutano di dargli il permesso di rimanere in ospedale. Con la paura costante che il figlio muoia nel tragitto tra l'ospedale e la casa, la madre di Jihad è disperata: non può neanche lontanamente concepire come una situazione politica possa mettere a rischio la vita di suo figlio. E perché poi dovrebbe farlo?''.
Secondo diversi studi -gli stessi che sono stati al centro della Conferenza internazionale sull'impatto dell'assedio sulla salute menale organizzata il 27 e 28 ottobre dal Gaza Community Health Program in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale della Sanità- ansie, fobie, disordini ossessivi e compulsivi colpiscono in modo devastante le donne palestinesi della Striscia mentre oltre il 90 percento dei Palestinesi si sente rinchiuso in una prigione, con frustrazioni e ansie crescenti per la paura di non poter ricevere cure mediche, di non trovare medicine per i propri figli e non ottenere il permesso di farli curare all'estero, mettendo a rischio le loro vite. Di questo hanno discusso centinaia di esperti ed accademici internazionali accorsi per la Conferenza che, essa stessa sotto assedio, alla fine si è svolta a Ramallah, dato che le Autorità israeliane hanno negato agli internazionali i permessi di raggiungere Gaza.Ovviamente i minori sono i più esposti: nella Striscia dove il tasso di disoccupazione è al 45 percento e il 55 percento delle famiglie vive al di sotto della soglia della povertà, dove dal 2000 il numero di pazienti che hanno ricevuto cure dai centri per la salute mentale è aumentato del 38 percento (dati OMS) e dove i minori hanno un'esperienza diretta e devastante di morte e violenza, come possono i bambini avere fiducia nel loro futuro?
Un lungo cammino nel dolore. Di disagi e tragedie parlano le storie raccolte dal GCMHP (Gaza Community Mental Health Programme): Eisa, 14 anni, vive con i suoi genitori e 12 fratelli a Beit Lahia, nel Nord della Striscia. Il 4 gennaio 2005, giocava in un campo di fragole, un missile israeliano l'ha gravemente ferito e le sue gambe sono state amputate. Ora Eisa si muove su una sedia a rotelle, non vuole accettare l'incidente, è sempre nervoso, grida, picchia e tormenta i fratelli minori. A casa distrugge tutto, specialmente ciò che si muove, perché non vuole vedere niente capace di muoversi visto che lui ora può farlo solo con la sua sedia a rotelle, e spesso tenta di rompere anche quella. Huda, invece, ha 11 anni, anche lei vive a Beit Lahia e di anni ne aveva solo 7 quando un missile israeliano caduto sulla spiaggia le ha portato via di colpo quasi tutta la famiglia: il padre, la suocera, le sorelle di 24, quattro e un anno e mezzo e anche il fratellino di quattro mesi. Stava nuotando Huda: poi il fuoco, la morte e le sue foto che hanno fatto il giro del mondo. Il GCMHP ha raccolto la sua storia a distanza di anni: la bambina soffre di continui flashback e incubi, ha le immagini terribili di quei corpi straziati davanti agli occhi. E' terrorizzata dal mare e dalla spiaggia, evita ogni oggetto le ricordi la tragedia, dorme con difficoltà, ha frequenti mal di testa e poca concentrazione. Difficile per lei costruire un altro futuro possibile. Per Eyad El-Sarraj, coordinatore del Gaza Mental Health Programme, "la situazione della salute mentale a Gaza è davvero grave e si teme per le future generazioni di bambini che sono stati cresciuti fino ad oggi in un tale ambiente di privazioni, sfiducia e mancanza di speranza".
La delegazione di parlamentari recatasi a Gaza ha raccolto anche la testimonianza di Tala, 10 anni di Gaza city. Il suo racconto inizia con gli incidenti che la bambina ha vissuto personalmente nel luglio del 2007 quando "in un giorno pieno di paura e di panico, sono scoppiati gli scontri tra Fatah e Hamas; gli spari sono aumentati; tutti erano spaventati, la paura era veramente tremenda; mi sono attaccata a mia madre e pregavamo per i miei nonni il cui appartamento è stato bombardato da un missile". Il corpo le tremava e Tala voleva gridare: "Basta, voi siete un unico popolo, fratelli e amici, è orribile quello che state facendo: fermatevi!". Ora Tala a volte sogna di scappare via "lontano nello spazio e di vivere nel più distante dei pianeti, Pluto, fino alla fine del conflitto. Ma la violenza potrebbe durare a lungo e nel frattempo io potrei essere congelata e morta". "Di questo – dice Luisa Morgantini – porta responsabilità anche la leadership palestinese con le divisioni territoriali e politiche tra la West Bank e Gaza e la scelta di Hamas di azioni suicide ed omicide contro la popolazione civile israeliana, che hanno influito sull'isolamento di Gaza anche se oggi, e mi auguro si mantenga, vi e una tregua che Hamas sta rispettando". "E noi movimenti, partiti dove siamo – si chiede – dopo 60 di diaspora,dopo più di 40 anni di occupazione militare non siamo ancora riusciti a far si che i nostri governi, che le Nazioni Unite mettano in pratica le risoluzioni che votano: la fine dell'occupazione militare israeliana ed uno Stato per i Palestinesi sui Territori occupati nel 1967".
Fonte: http://it.peacereporter.net/
Novembre 2008