Siria, non si ferma la protesta


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L’esercito siriano continua a stringere d’assedio alcune località della provincia nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia.


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Siria, non si ferma la protesta

A quasi 100 gioni dall'inizio della mobilitazione senza precedenti in Siria, carri armati ed elicotteri da combattimento contro i civili non hanno finora scoraggiato le decine migliaia di siriani che anche oggi, nel 14/mo venerdì consecutivo di proteste, sono tornati in strada, partendo dalle moschee e dai dormitori universitari, per chiedere la caduta del regime. Nel contempo le tensioni siriane sono tracimate nel vicino Libano con sanguinosi scontri armati tra alawiti fedeli agli al-Assad e sunniti, sostenuti dall'Arabia Saudita, che manifestavano in sostegno dei dimostranti siriani.  

L'esercito siriano continua a stringere d'assedio alcune località della provincia nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia, dove sono circa 10.000 i profughi. L'agenzia ufficiale Sana riferisce dal canto suo che le unita' dell'esercito sono attestate attorno a Maarrat an Numan, lungo l'autostrada Damasco-Aleppo, ''per evitare che le organizzazioni terroristiche blocchino l'autostrada''.

A Tripoli, nel vicino Libano settentrionale, distante poche decine di km da Homs e dove da un mese rimangono di fatto intrappolati circa 3.000 profughi siriani, quattro persone tra cui un soldato libanese sono rimasti uccisi in scontri armati in una delle zone più depresse dell'intero Libano, tra residenti sunniti di Bab Tabbane e abitanti alawiti di Jabal Mohsen.

Le violenze sono scoppiate quando ignoti hanno lanciato una bomba assordante in direzione di un corteo di sunniti, nei quali figuravano anche membri del partito fondamentalista Hizb al Tahrir, che manifestavano a sostegno dei dimostranti siriani anti-regime. Ne è nato uno scontro a fuoco sedato solo dopo circa due ore dall'esercito. Il neo nominato premier libanese Najib Miqati, originario di Tripoli e amico di famiglia del presidente al-Assad, ha assicurato in una conferenza stampa che ''l'esercito e le forze di sicurezza non permetteranno che il Libano sia trascinato verso la fitna'', la divisione confessionale.

Situazione diversa invece, in Marocco dove è stata approvata una nuova architettura costituzionale che modifica in senso realmente democratico quella esistente, con un ampliamento di poteri e competenze del primo ministro e del parlamento e la ridefinizione della figura del monarca, anche nel suo profilo religioso. È questa la coraggiosa via che ha imboccato Mohammed VI, re del Marocco, che ha sottolineato la solennità del momento rivolgendosi direttamente alla nazione. Una via imboccata ufficialmente per rispondere alla forte richiesta di cambiamento che viene dal suo popolo, più probabilmente per inaridire, prima che germogli, il seme della protesta popolare che, altrove (Tunisia, prima, poi Egitto, e, a seguire, molti altri Paesi del mondo arabo), ha portato a rivoluzioni, stravolgimenti, persino guerre. Il contenuto delle riforme ridimensiona i poteri del re, che perde – è il più evidente cambiamento – la guida del governo Le riunioni dell'esecutivo, infatti, saranno presiedute dal premier (che diventa presidente del governo), e non più, come oggi, dal re, che comunque vi prenderà parte.

Il premier, che – ha spiegato il sovrano nel discorso alla nazione – sarà scelto dal partito che avrà vinto le elezioni legislative e guiderà un governo che sarà quindi "frutto del suffragio universale diretto". Avrà anche il potere di sciogliere il parlamento (prima lo poteva fare solo il re) e di fare nomine per le cariche più importanti dello Stato. Sono quindi il re, il suo profilo costituzionale, i suoi poteri e le sue prerogative a essere fortemente ridimensionati da una Costituzione che appare anche frutto della realpolitik. I tempi dell'agenda che la riforma della costituzione avrà sono strettissimi, perché il referendum sulla sua approvazione si terrà – ha reso noto in serata il sovrano – già il primo di luglio, con il coinvolgimento dei partiti, ai quali, in questa fase, si chiede una partecipazione al processo delle riforme. Re Mohammed ha detto che lui stesso voterà 'sì'.

Fonte: http://www.grr.rai.it
18 Giugno 2011

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