Siria, massacro di civili 320 nelle fosse comuni


Avvenire


Centinaia di persone uccise, cadaveri allineati in fosse comuni, bambini e donne vittime di esecuzioni sommarie avvolti in sudari bianchi immersi nel sangue: sono centinaia, secondo fonti concordanti, i corpi trovati alla periferia di Damasco, nella località di Daraya.


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I corpi di alcune delle vittime della strage di Daraya, sobborgo a sudovest di Damasco, il 25 agosto 2012, in una foto pubblicata su facebook dagli attivisti. La citta' e' teatro da giorni di una violenta offensiva delle forze fedeli al regime di Bashar al Assad. ANSA / FACEBOOK
+++ATTENZIONE PHOTOEDITOR: L'ANSA NON E' IN GRADO DI VERIFICARE L'ATTENDIBILITA' DELLA FONTE+++

Sono almeno 320 e vengono “raccontati” in filmati contrapposti dei ribelli anti-governativi e dell’esercito siriano. Non ci sono fonti indipendenti a chiarire chi abbia compiuto le stragi e in quanti giorni: l’orrore è l’unica, accertata realtà. Gli uomini, ma anche le donne e i bambini, con fori di proiettile in testa oppure smembrati da colpi dell’artiglieria sono l’evidenza di una o più stragi, presumibilmente in atto nella cittadina a sud-ovest della capitale da martedì scorso, da quando cioè è iniziata una vasta offensiva dei militari determinati a “ripulire” (così dicono) questi quartieri dalla presenza dei miliziani ribelli. Duecento, trecento, quattrocento morti: le cifre fornite dagli attivisti dell’opposizione aumentano continuamente e le immagini lasciano poco spazio ai dubbi. È una guerra fratricida che lascia sul terreno soprattutto civili inermi, che non sono riusciti a fuggire e che sono impossibilitati a difendersi. Anche la giornalista della tv siriana che insieme ai soldati si muove in una zona della periferia di Damasco filma morti e feriti, cadaveri mutilati, bambini insanguinati che urlano il loro dolore. Sono stati i ribelli, dice. Mentre nell’altro video gli oppositori affermano: “Sono stati gli uomini di Assad”. Guerra di immagini, parole e propaganda, oltre che di armi, proiettili e violenze. Ieri è intervenuto anche il presidente Bashar el Assad, con minacciose dichiarazioni rilasciate all’agenzia ufficiale Sana dopo l’incontro con un emissario dell’Iran, Alaeddin Borujerdi, ieri in visita a Damasco. “Il popolo siriano non permetterà agli stranieri che complottano contro la Siria di vincere”, ha detto Assad, promettendo di sventare “a qualunque costo” il complotto ordito dall’estero. “Quanto sta accadendo non è solo rivolto contro la Siria ma è contro l’intera regione… Perché nella regione la Siria è una pietra miliare e le forze straniere la prendono di mira per portare a termine un complotto in tutta l’area”. Le parole di Assad sono senza spazi di mediazione. “La Siria continuerà nella sua strategia di resistenza a dispetto della collaborazione dei Paesi occidentali con alcuni Stati della regione per farle cambiare la sua posizione di contrasto contro la dominazione occidentale e israeliana”. Dall’inizio della rivolta, 17 mesi fa, il regime di Damasco accusa i ribelli di essere “terroristi” al soldo degli stranieri, finanziati e armati da Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, determinati a sovvertire gli equilibri politico-economici nella regione. Nella guerra di propaganda ieri il regime ha comunque segnato un punto a suo favore: il vice presidente Faruk al Sharaa, di volta in volta dato per rimosso dal suo incarico, fuggito, imprigionato o espatriato in Giordania, è tornato a farsi vedere in pubblico per la prima volta da settimane. È arrivato in auto al suo ufficio a Damasco e ha partecipato all’incontro con l’inviato iraniano. “Serio in volto”, non ha rilasciato dichiarazioni ma ha posto fine al mistero sulla sua sorte. Intanto Aleppo, seconda più importante città del Paese, resta il tragico teatro di un’altra certezza: la “madre di tutte le battaglie” continua. E finora nessuna mediazione riesce a ipotizzarne una fine imminente.

Fonte: www.avvenire.it
27 Agosto 2012

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