Siria, la lezione degli ultimi 5 lustri


Emanuele Giordana - Lettera22


Spegnere la guerra con la guerra portando diritti e democrazia? Tredici anni di fallimenti consigliano un ripensamento. I tre (e più) fronti ancora aperti e sanguinanti.


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Secondo chi ha fa una stima dei conflitti nel mondo, come l’Atlante delle guerre che da quattro anni documenta la guerra nel pianeta, sono oltre una trentina. Molti sono piccoli focolai, altri fuochi sotto la cenere, altri ancora conflitti infiniti. E se si butta l’occhio sui numeri ci si accorge che la più grande fucina della guerra è quella che è stata avviata negli ultimi dodici ani a partire dall’11 settembre 2001. Con nomi e codici diversi ma sempre con la motivazione di difendere la popolazione civile e far avanzare diritti e democrazia, guerre devastanti sono state messe in cantiere con l’avallo dell’Onu e, in due casi, con un cavallo di nome Nato. Sempre promosse da americani britannici e francesi (che hanno avuto la “loro” guerra in Mali), con l’appoggio della Ue e la partecipazione del nostro Paese seppur a diverso titolo, Irak, Afghanistan e Libia sono le guerre che segneranno la storia di questi tre lustri. Con un particolare comune (cui solo il Mali per ora sembra fare eccezione): queste guerre non sono mai terminate, continuano a uccidere e sono state abbandonate o sono in via d’abbandono da parte dei salvatori. Guerre infinite e costose. In termini di denaro e vite. Sarebbe salutare chiedersi se abbia senso iniziarne una quarta su cui, anche i più convinti interventisti, cominciano a nutrire seri dubbi. E a domandarsi se combattere la guerra con la guerra spenga la prima o non ne alimenti all’infinito una terza.

In Libia tutto tace. La presenza occidentale è sotto tono. La stampa è disattenta su questa fucina di violenza continua. Si sono formati almeno 500 gruppi armati davanti a un esercito ridicolo, un governo fragile e un regime di impunità garantita per chi uccide o picchia una donna colpevole di aver violato le regole del pudore. Dopo il suo incontro con le autorità libiche, Gianni Letta ha detto che l’Italia intende avere un ruolo attivo, fornendo assistenza per la formazione delle strutture militari e aiutando a costruire le istituzioni, senza contare che il premier si è anche lasciato andare a menzionare il sequestro delle armi. Imprese che, in oltre dieci anni di occupazione militare, non hanno avuto molto successo in Afghanistan, l’altro fronte sanguinante della Nato che, lentamente, sta cercando di uscire dalla palude (ieri i talebani hanno bruciato decine di camion di rifornimento nella zona orientale del Paese). Certo, dal 2011 al 2012 i militari stranieri deceduti sono diminuiti da quasi 600 a meno di 400. In compenso però è aumentato il numero dei soldati afgani: erano meno di 800 nel 2010, sono arrivati oltre 1100 cadaveri l’anno scorso.

In Afghanistan, da manuale, la milizia sarebbe soltanto una. Ma dieci anni di guerra hanno non solo testimoniato che i talebano hanno molte anime, fronti e strategie ma che il conflitto ha alimentato la formazione di miriadi di bande armate: solo nella provincia di Wardak ce ne sarebbero un centinaio. Senza contare che durante la gestione del generale Petraeus (modello dell’Irak) è stata favorita la rinascita delle milizie di autodifesa: altri 30mila uomini armati

L’Irak, appunto. La famosa “missione compiuta” americana è una guerra senza fine. Secondo l’Iraq Body Count i civili morti hanno superato i centomila: nel solo mese di agosto le vittime sono state 915. Sabato sono state uccise 30 persone, venerdi 21…Numerosi gli errori con quel primo peccato di superbia che fu la distruzione dell’esercito iracheno per rifarlo daccapo. Poi ci fu la pulizia col fosforo, poi galera e tortura diffuse. Infine la strategia di armare le milizie. Ancora una volta combattere la guerra con la guerra.

Irak, Afghanistan e Libia sono solo i fronti aperti di tre conflitti dichiarati. Ma senza andare tropo lontano, in Pakistan, c’è una vera e propria guerra mai dichiarata. Coi droni, aerei senza pilota che ora si vorrebbero usare chirurgicamente in Siria. Questa guerra tecnologica in Pakistan ha dato ottimi risultati: il procuratore generale dell’Alta corte di Peshawar, dopo una causa civile promossa contro la Cia da una fondazione privata, ha sentenziato che almeno 896 civili sono stati uccisi tra il 2007 e il 2012 nell’agenzia tribale del Nord Waziristan e altri 533 nel Waziristan del Sud. Grazie ai droni.

Fonte: http://www.lettera22.it
3 settembre 2013

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