Siria, il premier abbandona Assad


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Nominato appena due mesi fa, il primo ministro (sunnita) fugge in Giordania assieme ad altri due ministri. Ad Aleppo si continua a combattere.


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Siria, il premier abbandona Assad

Un altro colpo, anche se più che altro simbolico, al regine del presidente Bashar al Assad. Questa volta si tratta della defezione del suo primo ministro, Riyad Farid Hijab, l'esponente politico più alto in grado ad aver abbandonato il presidente finora, dopo numerosi ambasciatori e ancor più numerosi ufficiali dell'esercito.

«Annuncio che da oggi sono un soldato di questa benedetta rivoluzione», ha dichiarato lo stesso Hijab ieri, dalla Giordania dove è arrivato insieme ad altri due ministri e con una decina di familiari. Il suo annuncio ha messo fine a una serie di annunci contradditori: ieri mattina infatti i media di stato siriani avevano annunciato che il presidente Assad aveva destituito il primo ministro, mentre i ribelli proclamavano che si era unito a loro.

Dal punto di vista della struttura del potere, la fuga di Hijab è poco più che un colpo di immagine: il primo ministro non è una carica di rilievo, dove il potere è accentrato nelle mani del presidente. Ma resta un segnale: Hijab era stato nominato premier solo in giugno, dopo elezioni parlamentari ampiamente boicottate. Sunnita, Hijab è originario di Deir al-Zour, uno dei punti caldi della rivolta. Un portavoce dell'ex premier ha precisato che la sua fuga è stata coordinata con l'Esercito siriano libero, che ormai raccoglie il grosso dell'opposizione armata, dei due mesi da quando era stato nominato capo del governo.

Secondo la Casa Bianca, la defezione del premier dimostra che Assad «sta perdendo la sua presa sul potere», e che il regime «sta crollando dall'interno». Eppure anche la fuga del premier conferma che la guerra civile siriana è sempre più un conflitto settario che vede i musulmani sunniti, ai quali appartiene anche Hijab, prendere le distanze dal regime di Assad composto da musulmani alawiti (sciiti). Questi ultimi restano, sia pure con qualche incertezza, accanto al presidente temendo le conseguenze di un rovesciamento del potere.

Resta incerta intanto la sorte dei 48 pellegrini iraniani rapiti sabato sulla strada tra l'aeroporto di Damasco e un santuario sciita a cui erano diretti. La «brigata Baraa» dell'Esercito siriano libero ha rivendicato il rapimento e afferma che non sono pellegrini ma Guardie della rivoluzione in missione. E ieri i ribelli hanno detto che tre degli iraniani sono stati uccisi da un bombardamento governativo in cui è crollata la casa in cui sono in custodia. Domenica il ministro degli esteri di tehran, Akbar Ali Salehi, ha chiesto a Turchia e Siria di collaborare per assicurare il rilascio dei suoi cittadini.

Fonte:http://nena-news.globalist.it/
7 Agosto 2012

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