Siria: granate e ortaggi a Damasco
Marinella Correggia
Nella capitale blitz notturni e clima pre-elettorale. Invisibili al mercato gli effetti delle sanzioni. Le scelte liberiste del governo hanno fiaccato l’economia. E ora non si vede più un turista. Oggi 15 soldati uccisi ad Aleppo.
Era l’una di notte fra domenica e lunedì quando chi ancora camminava nel fresco delle vie centrali di Damasco (qui chiamata Cham) ha sentito prima un colpo sordo come di granata, poi diverse raffiche. Anche a poche strade di distanza, nessuno si è scomposto. C’è stato anche un attacco con Rpg alla polizia, vicino all’opedale ibn al Nafis. E ieri mattina un funzionario della tivù Addounia è stato testimonedell’attacco mortale a un’auto delle forze dell’ordine sulla strada dell’aeroporto.
Per il resto tutto sembra tutto normale. I mercati e i chioschi sono pieni di legumi, ortaggi, frutta. Damasco non mostra segni di penuria alimentare, mentre nelle province colpite dalla crisi e dal fenomeno degli sfollati, la Mezzaluna Rossa e la Croce rossa internazionale hanno dovuto portare aiuti.
I pulman e pulmini sono molto economici – anche rispetto ai salari siriani – e quelli notturni continuano a viaggiare, con l’eccezione di zone periferiche più problematiche. Ma padroni della strada sono le automobili, molte delle quali importate di recente, in seguito alla liberalizzazione dell’import; però il gasolio, il carburante più economico, sovvenzionato, è di cattiva qualità e così l’aria è molto inquinata, spiega Qasem, esperto di “protezione dei consumatori” e giornalista del quotidiano Al Thawra («Rivoluzione», statale come altri due, poi ce n’è uno privato; sono talmente sovvenzionati che il prezzo di acquisto di una copia è vicino allo zero).
In vista delle elezioni legislative del prossimo 7 maggio, il signor Ezzeh Mohamed è l’unico, fra i candidati “indipendenti” dai partiti, a elencare saggiamente sul suo manifesto elettorale un piccolo programma articolato in sei semplici punti. Fra i quali c’è la sempreverde «lotta alla corruzione» ma anche «rilanciare l’economia nazionale». Che la grave crisi politica e umana del paese non aiuta di certo. Anche se, dice sempre Qasem, «alle sanzioni internazionali o statunitensi siamo abituati da sempre e possiamo resistere; godiamo di autosufficienza alimentare – con riserve di grano – e abbiamo diverse industrie». L’università continua a costare pochi dollari all’anno.
Certo il settore turistico è in forte crisi. «Non arriva più nessuno» si lamenta il venditore di ceramiche e argenti vicino a una delle porte della città, Bab Tuma. Stava imparando l’italiano al Centro culturale «ma l’hanno chiuso. L’insegnante voleva restare. Ma il mondo tratta tutti i siriani come appestati». Cento famiglie egiziane sono tornate a casa per la crisi dei ristoranti nei quali lavoravano. L’unico rimasto è forse Mina, custode copto della chiesa di Anania, la più antica del mondo. «Dal Cairo mia sorella mi telefona inquieta – spiega – , il dominio dei Fratelli musulmani si sente, altro che rivoluzione». Ma hanno votato, gli egiziani… «Fiumi di soldi esteri – aggiunge Mina – sono corsi per indirizzare questo voto, sfruttando la povertà e il richiamo alla religione». In tanti tengono a precisare che la Siria è rimasta ormai l’unico stato laico del mondo arabo.
Critici verso le politiche di apertura al mercato, i due partiti comunisti presenti in parlamento. «Gli ultimi sei anni hanno reso la Siria più debole; le politiche neoliberiste, definite “economia sociale di mercato”, hanno creato il terreno per questa che io chiamo controrivoluzione; abbiamo cercato di contrastarle ma siamo pochi in Parlamento» ha detto giorni fa Ammar Baghdash, storico segretario del Partito comunista siriano, secondo il quale è «essenziale in questo processo il ruolo dei reazionari del Golfo. Noi chiediamo che si torni al ruolo dello stato nell’economia, anche per contrastare i monopoli mondiali. Quando le richieste dei lavoratori sono state soddisfatte, la Siria è diventata più forte».
Ossama Al Maghout dell’Unione giovanile comunista dice che i militanti hanno cercato di avere un ruolo di mediazione rispetto a chi si è unito alla protesta per ragioni economiche, in certe province. Sostiene che molti – per esempio fra gli agricoltori, che hanno subito anni di siccità e tagli dei sussidi – hanno cambiato atteggiamento di fronte alle violenze dell’opposizione armata. Quanto al partito, «siamo all’opposizione nella politica interna economica della Siria, mentre la politica estera la condividiamo completamente».
Analoga diagnosi da parte del Partito comunista siriano-Unificato, per il quale non è in atto una rivoluzione ma un attacco violento sostenuto da potenze straniere ben poco progressiste, dal Qatar agli Usa, che sfruttano gli errori commessi dal governo. Sulla presunta vicinanza di poveri e contadini all’opposizione, il giovane Salam tira in ballo il fattore religioso: «Quando siamo andati a raccogliere le olive per finanziare il partito, anche noi atei pregavamo perché la pioggia non ci impedisse di lavorare. I contadini sono più dipendenti dal cielo, dall’alto. La religione ha forse più presa su di loro».
Fonte: http://nena-news.globalist.i
2 Maggio 2012