Siria, dove infuria la guerra civile


Andrea Bernardi


A’zaz è una città quasi rasa al suolo. Gli aerei dell’esercito siriano non hanno risparmiato neppure la piccola moschea all’entrata del Paese. Il racconto dell’inviato di Unimondo in Siria.


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Vicino Aleppo – A’zaz è una città quasi rasa al suolo. Gli aerei dell’esercito siriano non hanno risparmiato neppure la piccola moschea all’entrata del Paese. Sui due carro armati andati in cenere i bambini giocano a dondolarsi aggrappati al cannone del mezzo e con le dita fanno il segno della V. Vittoria. La gente del villaggio fa la coda davanti all’unico panificio aperto. Yousef, il gestore, racconta che “per evitare liti ogni persona può prendere al massimo 4 pezzi di pane arabo”. Ma la distribuzione va a rilento. E la coda all’esterno aumenta di ora in ora. Da una parte gli uomini, dall’altra le donne.

La strada per Aleppo passa da questo piccolo villaggio al confine con la città turca di Kilis, dove la punizione del regime è arrivata dal cielo. Ma A’zaz, nonostante la maggior parte dei suoi palazzi siano accartocciati come fisarmoniche, rimane una città liberata, o come ripetono i ribelli dell’Esercito Libero Siriano (ELS), “safe”. Sicura. Aleppo, capitale economica della Sira, è a soli 45 chilometri, ma per raggiungerla bisogna farne almeno 30 in più. Non esiste una via “sicura”. Ogni giorno, da queste parti, qualcosa cambia. E un check-point dell’esercito regolare che il giorno prima non c’era può comparire all’improvviso. Certo, dopo oltre un mese da quando i ribelli hanno lanciato su Aleppo quella che viene definita “la madre delle battaglie”, tante cose sono cambiate. Non si entra più in Siria strisciando sotto un reticolato di filo spinato, con i soldati turchi che fanno finta di non vedere. Si entra e si esce da un posto di frontiera. I ribelli mettono anche il timbro sul passaporto. E la parola “welcome” quasi si spreca. La bandiera che sventola in alto è quella della rivoluzione. I villaggi che dal confine portano alla seconda città più grande del Paese sono per la maggior parte sotto il controllo dell’ELS e sui muri si sprecano le scritte a sostegno della rivoluzione.

Ma più ci si avvicina ad Aleppo, più l’aria si fa pesante. Basta alzare lo sguardo dietro le colline prima della città per vedere le colonne di fumo nero dell’artiglieria che si alzano nel cielo. E più ci si avvicina, più il rumore delle esplosioni si fa minaccioso. All’unico check-point dell’Esercito libero siriano fanno la guardia due ragazzi con la tuta mimetica, il kalashinkov a tracolla e, nonostante i 40 gradi il fuoco acceso con una caffettiera per il tè. Passato questo inutile sbarramento si entra nella città. E nei 45 minuti di viaggio attraverso strette vie dove l’auto quasi non rimane incastrata risuonano almeno 15 colpi di artiglieria. Significa che ad Aleppo atterra un razzo ogni 3 minuti. Salaheddin, anche oggi (il 28 agosto per chi legge) è il quartiere più martoriato dall’artiglieria dell’esercito di Assad, che, secondo i ribelli, spara nascondendosi all’interno del vicino stadio e da quella che era la “città dello sport”.

Dentro le piccole strade della città vecchia la battaglia infuria casa per casa. “Abbiamo respinto un attacco delle gangs di Assad ieri”, dice un giovane combattente “e stiamo cercando di tirare fuori dai palazzi più alti i cecchini che si sono appostati sui tetti”. Ma il problema è facile da capire: l’esercito regolare ha a disposizione aerei, elicotteri e armi pesanti. I ribelli soltanto AK47 e qualche razzo anti carro. Qualcuno anche artigianale. Quando il fuoco delle mitragliatrici diventa troppo pesante non c’è altro da fare che scappare. Come hanno fatto già da tempo i residenti.

All’ospedale Al Shifa il dottor Mohamed ci mostra i corpi senza vita di due uomini. Dice che si tratta di “civili uccisi da colpi di mortaio nel quartiere di Al Myassar. Sempre dallo stesso luogo sono arrivati molti altri feriti”. Tra loro ci sono anche due bambine. Una ha una gamba ricoperta di sangue e viene sdraiata sul lettino. Non servono le parole di una delle dottoresse in camice e velo a consolarla. L’altra viene portata di corsa in sala operatoria. Erano in strada, forse giocavano, come sempre nonostante la guerra, quando le schegge di una esplosione l’hanno colpite. Segno, dicono le tante persone che affollano l’entrata dell’ospedale, “che le forze di Assad stanno bombardando ovunque”. Nel tardo pomeriggio, quando i combattimenti sembra calino di intensità arriva all’ospedale il corpo in putrefazione di un ribelle. L’autista dell’ambulanza spiega che sono riusciti a recuperarlo soltanto oggi ad Al Myassar, perché nei giorni scorso entrare era troppo pericoloso.

Andrea Bernardi, dalla Siria

Fonte: Unimondo.it

30 agosto 2012

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