Siria, da guerra civile a conflitto “globale”
Emma Mancini - nena-news.globalist.it
A due anni dallo scoppio delle violenze: intervento armato indiretto di Occidente e Lega Araba e timori di contagio dei Paesi vicini. E Tel Aviv avverte: Assad userà armi chimiche.
Sono trascorsi due anni dallo scoppio della guerra civile siriana. Il 15 marzo 2011, ispirati dalle Primavere Arabe di Tunisia ed Egitto, manifestanti siriani scesero nelle strade e nelle piazze del Paese per chiedere al governo libertà e democrazia.
Ma la storia della rivolta siriana ha preso una piega estremamente diversa da quella del Cairo e Tunisi. In breve il Paese si è spaccato in due: da una parte i fedeli al presidente Bashar al-Assad, dall’altra gruppi armati di opposizione di diverse ispirazioni politiche e religiosi. Le conseguenze e i risultati della guerra civile in corso disegneranno un nuovo Medio Oriente ancora schiavo del giogo neo-colonialista occidentale in caso di vittoria dei nuovi inattesi alleati di Stati Uniti e Unione Europea: i Fratelli Musulmani.
A due anni dalle prime manifestazioni, la Siria vive una sanguinosa guerra civile, finanziata e sostenuta dai governi occidentali e dai Paesi del Golfo, il cui obiettivo è la caduta del presidente Assad. Agli iniziali interventi diplomatici – dalle sanzioni finanziarie contro Damasco all’invio di una missione congiunta di Lega Araba e Nazioni Unite – è seguito un intervento militare indiretto. Nessun soldato, ma l’ingente invio di armi e equipaggiamenti militari alla Coalizione Nazionale Siriana, federazione dei gruppi di opposizione riconosciuta da molti Paesi occidentali come l’unico rappresentante del popolo siriano.
Un conflitto sanguinoso che ha portato la Siria al collasso: 70mila vittime, oltre un milione di rifugiati nei Paesi vicini (Giordania, Libano, Turchia, Iraq), la distruzione di città antiche e bellissime, come il suq di Aleppo, una crisi economica e umanitaria che ha fatto impennare il tasso di disoccupazione e quello di inflazione. Un conflitto di cui non si vede la via d’uscita.
Bashar al-Assad non è caduto e ai gruppi di opposizione liberali si sono affiancate milizie islamiste e gruppi di Al Qaeda, che controllano parte del Paese – a Nord e al confine con l’Iran – trasformando la guerra civile in un conflitto settario e religioso.
Pochi giorni fa, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato l’intenzione di bypassare le risoluzioni dell’Unione Europea sull’embargo di armi, per permettere l’invio di altri equipaggiamenti ai ribelli, attraverso Paesi terzi, mentre la Giordania è divenuta teatro di addestramenti militari delle milizie di opposizione da parte di contractor americani, francesi ed inglesi. “Il nostro obiettivo è convincere i nostri partner entro la fine di maggio e anche prima se possibile – ha detto il presidente francese, Francois Hollande – Le soluzioni politiche hanno fallito, nonostante le pressioni compiute. Dobbiamo proseguire perché per due anni siamo stati testimoni dell’utilizzo da parte di Assad di ogni mezzo per colpire il proprio popolo”.
Plauso degli Stati Uniti, da tempo accusati di sostenere ufficiosamente i ribelli attraverso l’invio di armi che stanno solo provocando un’ulteriore escalation delle violenze: “Vogliamo vedere più governi possibile fornire un adeguato sostegno alla Coalizione di opposizione siriana”, ha commentato la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland.
Il timore di molti osservatori è che l’intensificarsi del conflitto siriano possa provocare un’ondata di violenze settarie nell’intera regione, dal Libano all’Iraq alla Turchia. Timori fondati visti gli attacchi armati compiuti lungo i confini e all’interno dei territori dei Paesi vicini. La Siria è da decenni uno dei poteri leader in Medio Oriente, insieme all’Egitto, oggi a guida islamista. Un’eventuale vittoria delle forze di ispirazione musulmana a Damasco trasformerebbe il Medio Oriente in un’enclave dei Fratelli Musulmani, oggi considerati partner affidabili dal mondo occidentale, dopo essere stati per anni nella lista nere delle organizzazioni terroristiche.
Senza dimenticare Israele. Poche settimane fa l’aviazione di Tel Aviv ha bombardato un convoglio siriano in Libano, esempio dei desideri bellici del governo israeliano, che da tempo chiede un intervento armato contro la Siria, così da colpire indirettamente gli alleati di Damasco, ovvero Iran e Hezbollah.
Ieri il capo dell’intelligence militare, il generale Avi Kohavi, ha detto che il regime di Assad ha pianificato l’utilizzo di armi chimiche contro i ribelli. “Assad si sta preparando a utilizzare armi chimiche – ha detto Kohavi – Non ha ancora dato l’ordine finale, ma si sta preparando”. Il timore di Tel Aviv è che simili armi possano cadere in mano a milizie armate, considerate pericolose per la sicurezza dello Stato ebraico: “La situazione in Siria è diventata estremamente pericolosa – ha commentato il capo dell’esercito Benny Gantz – Le organizzazioni terroristiche stanno diventando sempre più forti. Oggi combattono contro Assad, ma in futuro potrebbero scatenarsi contro di noi”.
Fonte: Nena News
15 mrzo 2013