Siria: al via il 10 aprile il piano di Kofi Annan
Chiara Cruciati - il Manifesto
Bashar Assad ha accettato la scadenza. Damasco disponibile a ordinare il ritiro delle truppe dalle città ribelli. Ma regna lo scetticismo. Anche una parte dell’opposizione potrebbe boicottare il piano di pacificazione dopo i fondi promessi dagli “Amici della Siria”.
La conferenza dell’opposizione siriana, di scena domenica a Istanbul, ha registrato un triplo immediato effetto: scatenare l’ira russa, dare un colpo quasi mortale al piano di pacificazione di Kofi Annan e smuovere l’iniziativa di Assad. Gli «Amici della Siria», grazie a Stati Uniti e Paesi del Golfo, infatti daranno cento milioni di dollari per stipendi e strumenti di comunicazione militare a ribelli e disertori. La reazione di Mosca non si è fatta attendere: il governo russo ha definito il meeting (a cui hanno partecipato 83 Paesi) un incontro «unilaterale» per la mancata presenza di rappresentanti del regime di Damasco. «Le assicurazioni espresse a Istanbul – si legge nel comunicato del ministero degli esteri russo – per un sostegno diretto all’opposizione armata sono in contraddizione con gli obiettivi di una soluzione pacifica».
Soluzione che l’inviato delle Nazioni Unite e della Lega araba Kofi Annan sta tentando di far digerire al presidente Bashar Assad. L’ex segretario generale dell’Onu ha presentato al regime siriano un piano in sei punti per guidare il Paese fuori da quella che potrebbe diventare una vera guerra civile. È chiaro che il tentativo di Annan ora rischia di soccombere sotto il colpo di mano degli alleati esteri dei ribelli siriani (come accusano i media di Damasco). Ma ieri, in tarda serata, è arrivata la nuova mossa del presidente siriano, comunicata direttamente da Kofi Annan alle Nazioni unite: «Assad ha accettato il termine del 10 aprile per il cessate il fuoco». Decisione che rafforza il piano approvato dal Consiglio di Sicurezza, piano che prevede una tregua di due ore al giorno nei luoghi di combattimento, l’arrivo di aiuti umanitari, il ritiro delle truppe dai centri abitati, la liberazione dei prigionieri e l’ingresso di giornalisti stranieri. Il segretario di Stato Usa Clinton da Instanbul ha rigirato l’accusa: ad aver tagliato le gambe al piano Annan è stato Bashar Assad, che continua a reprimere le proteste mentre pubblicamente si dichiara pronto al cessate il fuoco.
Domenica, mentre l’opposizione siriana dichiarava fallita la mediazione di Annan, Stati Uniti, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi hanno messo sul piatto 100 milioni di dollari di aiuti ai gruppi di ribelli. Dichiarando apertamente che serviranno a pagare i salari dei combattenti e a fornire strumenti per la comunicazione, l’equipaggiamento per evitare i controlli del governo.
La Clinton ha annunciato che da parte americana verranno consegnati 12 milioni di dollari, da aggiungere ai 25 già accordati nei mesi scorsi. Il resto sarà prelevato dalle casse dei Paesi del Golfo, in prima linea per far cadere la testa di Assad. Obiettivo simile a quello dell’ex alleato turco: Erdogan non solo ha più volte ospitato i meeting dell’opposizione siriana, ma ha stabilito sanzioni dirette contro Damasco. Nessuna intesa sulla fornitura di armi. Se Cina e Russia hanno fermato il tentativo di avviare un intervento militare, altri Paesi (monarchie del Golfo in testa) pensano a passare armamenti ai gruppi di opposizione, incontrando il veto quasi unanime degli altri partecipanti. Ma la pioggia di dollari che pioverà sugli «Amici della Siria» potrebbe bastare sia a recuperare armamenti che ad invogliare militari dell’esercito siriano a passare dall’altra parte.
La conferenza di domenica si è conclusa con un appello diretto a Kofi Annan perché indichi un ultimatum entro il quale Bashar è costretto ad adeguarsi al piano Onu. A stretto giro il commento del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov: spetta al Consiglio di Sicurezza stabilire come implementare il piano Annan, non certo agli «Amici della Siria».
Nel frattempo il sangue continua a scorrere: ieri una bomba è esplosa nel centralissimo quartiere di Damasco Marja, tra una stazione di polizia e l’hotel Kinda, ferendo quattro persone. Almeno 11 i morti negli scontri tra forze governative e ribelli nei villaggi di Hass, Deir Subol e Farkia (provincia di Idlib), ad Aleppo e a Tafas.
Fonte: http://nena-news.globalist.it
3 Aprile 2012