Si marcia per la pace, e il commercio di armi?


Fabrizio Floris


Le incoerenze tra popolo e istituzioni, diplomazia e sentire comune sul tema della pace.


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Foto di Roberto Brancolini ® 

Correva il mese di aprile dell’anno 2016 quando venne fuori la notizia della fornitura italiana di 28 Eurofighter al Kuwait, i caccia di fabbricazione europea, il cui luogo centrale di produzione era identificato nell’Alenia di corso Marche a Torino. La notizia venne salutata con grande enfasi da sindacati, lavoratori e amministratori pubblici.

Poi venne fuori che bombe di produzione italiana  (RWM di Domusnovas) erano state inviate all’Arabia Saudita e utilizzate per bombardare in Yemen.

Arriviamo a settembre quando la Commissione Europea nella sua Azione Preparatoria (PA – Preparatory Action on Defence research) delle linee di finanziamento del 2017 ha incluso le industrie produttrici di armi. La proposta è stanziare 3,5 mld di euro nel periodo 2021 – 2027.

E siamo a ottobre quando il ministro della difesa Pinotti si reca in Arabia Saudita senza spiegare esattamente le ragioni del suo viaggio e rispondere se quanto avvenuto è coerente con la risoluzione del Parlamento Europeo che ha chiesto all’alto commissario Mogherini di “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”.

Alla fine venne il tempo della marcia della Pace Perugia-Assisi a cui hanno aderito formalmente ben 466 città con tanto di delibera comunale. Conclusioni hanno  senso queste adesioni se poi, come accade a Torino, non si fa nulla contro le aziende che producono armi? Ha senso che l’Europa che ha come principale problema l’accoglienza dei rifugiati vada, con le armi, ad alimentare le cause che sono all’origine della fuga di milioni di persone? Stiamo sulle cause o continuiamo a muoverci solo sugli effetti?

Non bisognerebbe dimenticare la leggenda greca dello schiavo-messaggero che portava iscritto sulla propria nuca rasata il messaggio che avrebbe dovuto recapitare senza poterlo leggere. Non so quale potrà essere la sentenza iscritta nella nuca di queste notizie, ma non ne sarei così preventivamente entusiasta perché come noto, produzioni di armi e pace sono come montagne: non si incontrano mai.

Correva il mese di aprile dell’anno 2016 quando venne fuori la notizia della fornitura italiana di 28 Eurofighter al Kuwait, i caccia di fabbricazione europea, il cui luogo centrale di produzione era identificato nell’Alenia di corso Marche a Torino. La notizia venne salutata con grande enfasi da sindacati, lavoratori e amministratori pubblici.

Poi venne fuori che bombe di produzione italiana  (RWM di Domusnovas) erano state inviate all’Arabia Saudita e utilizzate per bombardare in Yemen.

Arriviamo a settembre quando la Commissione Europea nella sua Azione Preparatoria (PA – Preparatory Action on Defence research) delle linee di finanziamento del 2017 ha incluso le industrie produttrici di armi. La proposta è stanziare 3,5 mld di euro nel periodo 2021 – 2027.

E siamo a ottobre quando il ministro della difesa Pinotti si reca in Arabia Saudita senza spiegare esattamente le ragioni del suo viaggio e rispondere se quanto avvenuto è coerente con la risoluzione del Parlamento Europeo che ha chiesto all’alto commissario Mogherini di “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”.

Alla fine venne il tempo della marcia della Pace Perugia-Assisi a cui hanno aderito formalmente ben 466 città con tanto di delibera comunale. Conclusioni hanno  senso queste adesioni se poi, come accade a Torino, non si fa nulla contro le aziende che producono armi? Ha senso che l’Europa che ha come principale problema l’accoglienza dei rifugiati vada, con le armi, ad alimentare le cause che sono all’origine della fuga di milioni di persone? Stiamo sulle cause o continuiamo a muoverci solo sugli effetti?

Non bisognerebbe dimenticare la leggenda greca dello schiavo-messaggero che portava iscritto sulla propria nuca rasata il messaggio che avrebbe dovuto recapitare senza poterlo leggere. Non so quale potrà essere la sentenza iscritta nella nuca di queste notizie, ma non ne sarei così preventivamente entusiasta perché come noto, produzioni di armi e pace sono come montagne: non si incontrano mai.

Correva il mese di aprile dell’anno 2016 quando venne fuori la notizia della fornitura italiana di 28 Eurofighter al Kuwait, i caccia di fabbricazione europea, il cui luogo centrale di produzione era identificato nell’Alenia di corso Marche a Torino. La notizia venne salutata con grande enfasi da sindacati, lavoratori e amministratori pubblici.

Poi venne fuori che bombe di produzione italiana  (RWM di Domusnovas) erano state inviate all’Arabia Saudita e utilizzate per bombardare in Yemen.

Arriviamo a settembre quando la Commissione Europea nella sua Azione Preparatoria (PA – Preparatory Action on Defence research) delle linee di finanziamento del 2017 ha incluso le industrie produttrici di armi. La proposta è stanziare 3,5 mld di euro nel periodo 2021 – 2027.

E siamo a ottobre quando il ministro della difesa Pinotti si reca in Arabia Saudita senza spiegare esattamente le ragioni del suo viaggio e rispondere se quanto avvenuto è coerente con la risoluzione del Parlamento Europeo che ha chiesto all’alto commissario Mogherini di “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”.

Alla fine venne il tempo della marcia della Pace Perugia-Assisi a cui hanno aderito formalmente ben 466 città con tanto di delibera comunale. Conclusioni hanno  senso queste adesioni se poi, come accade a Torino, non si fa nulla contro le aziende che producono armi? Ha senso che l’Europa che ha come principale problema l’accoglienza dei rifugiati vada, con le armi, ad alimentare le cause che sono all’origine della fuga di milioni di persone? Stiamo sulle cause o continuiamo a muoverci solo sugli effetti?

Non bisognerebbe dimenticare la leggenda greca dello schiavo-messaggero che portava iscritto sulla propria nuca rasata il messaggio che avrebbe dovuto recapitare senza poterlo leggere. Non so quale potrà essere la sentenza iscritta nella nuca di queste notizie, ma non ne sarei così preventivamente entusiasta perché come noto, produzioni di armi e pace sono come montagne: non si incontrano mai.

13 ottobre 2016

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