Shoah: il tabù scuote l’Iran
Farian Sabahi
Le presidenziali iraniane si sono concluse con la controversa vittoria di Ahmadinejad, dopo una campagna elettorale accesa e, per molti versi, inedita. I candidati hanno discusso di diritti delle donne e delle minoranze, e pure di Shoah.
Le presidenziali iraniane si sono concluse con la controversa vittoria di Ahmadinejad, dopo una campagna elettorale accesa e, per molti versi, inedita. I candidati hanno discusso di diritti delle donne e delle minoranze, e pure di Shoah. Interpellato a proposito delle dichiarazioni di Ahmadinejad sull’Olocausto, il moderato Mousavi ha risposto che «la questione è affrontata nel modo sbagliato», mentre il candidato Karrubi ha osservato che «è un vento storico innegabile» e aggiunto che «non è compito nostro discutere se a morire sono stati 6mila ebrei o 6 milioni». Prima di Ahmadinejad non erano in molti ad affrontare il tema e persino l’ayatollah Khomeini preferiva sorvolare.
In Iran la Shoah è infatti tabù per una serie di motivi: fa parte della storia dell’ebraismo, una fede citata nel Corano; nella cultura persiana mettere in dubbio la storia religiosa – anche altrui – è una mancanza di rispetto; e, poiché alcuni iraniani hanno contributo a salvare la vita degli ebrei durante la persecuzione della Seconda guerra mondiale, per molti è anche questione di orgoglio nazionale. Nel 2007, durante il mese di ramadan, la tv di Stato aveva infatti mandato in onda la serie Meridiano zero in cui il regista Hassan Fathi raccontava le vicende di Sardari, il console iraniano a Parigi che durante l’occupazione tedesca salvò migliaia di ebrei europei scrivendone i nomi e mettendone le foto sui passaporti in bianco trovati nella sede diplomatica. E Khosrow Sinaei, un altro noto regista, è autore di una pellicola sui «bambini di Teheran», ovvero sul migliaio di giovani ebrei polacchi che erano finiti negli orfanotrofi di Samarcanda e Bukhara e, prima di essere trasferiti in Palestina, avevano trascorso un periodo nei campi allestiti nella capitale iraniana. Un tema affrontato, tra l’altro, nel documentario The Children of Teheran degli israeliani Dalia Guttman, David Tour e Yehuda Kaven.
Le persecuzioni subite dagli ebrei durante la Seconda guerra mondiale non sono quindi un evento ignorato dagli iraniani ma, oltre a isolare il paese sulla scena internazionale, le affermazioni di Ahmadinejad hanno avuto una tale risonanza da far conoscere a tutti la tragedia del popolo ebraico, indispettendo i suoi avversari moderati ma pure i radicali. La destra iraniana è tutt’altro che compiaciuta dal protagonismo del presidente e qualcuno ha approfittato delle dichiarazioni sulla Shoah per prenderlo di mira.
Figlio di un potente ayatollah già membro di Consiglio di Guardiani, Mehdi Khazali ha scritto sul suo sito che Ahmadinejad «pubblicizza l’Olocausto perché, come molti mercanti nel bazar, proviene da una famiglia ebraica». Il cognome originario è infatti Sabaghian («tintore di lana»), un’informazione contenuta anche nella bibliografia Ahmadinejad. The Secret History of Iran’s Radical Leader (I.B. Tauris, 2007) in cui Kasra Naji spiega che «quando emigrarono alla periferia di Teheran, per lasciarsi alle spalle le origini provinciali il padre cambiò il cognome in Ahmadinejad», inteso come «razza di Ahmadi», dove Ahmad deriva da Hamd, «lode a Dio». Un modo per sottolineare la fede islamica e far dimenticare le origini, umili ma non necessariamente ebraiche. In una campagna elettorale senza esclusione di colpi, la discussione sull’Olocausto ha dunque fornito munizioni ai nemici del presidente in carica. Ed è servita a Khazali per paragonare Ahmadinejad a Saddam Hussein, entrambi colpevoli di avere riscritto il proprio albero genealogico. Ma non è bastata a sconfiggere il presidente ultraconservatore.
Fonte: Il Sole 24 Ore
14 giugno 2009