Se un giornalista diventa capopopolo
Alberto Spampinato
Il 25 settembre prossimo a Reggio Calabria ci sarà la manifestazione “No ‘ndrangheta”, nata, chi l’avrebbe detto, dall’appello di un giornalista campano che si è fatto calabrese: Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano della Calabria. Numerose le adesioni.
Ne abbiamo viste tante, nello strano paese in cui viviamo, e crediamo di sapere come vanno le cose. Eppure la realtà a volte supera la nostra immaginazione. In questa stagione confusa, in cui si irride la libertà, si piegano ad personam principi e valori, si discute di persecuzione di esseri umani come se fosse una materia opinabile, io non immaginavo che i giornalisti potessero debuttare come capipopolo di successo. Non immaginavo che nel vuoto di iniziativa politica e mentre si rimpiangono i leader carismatici d’altri tempi, toccasse proprio a loro trasformarsi in trascinatori di folle. Era impensabile che questa categoria vituperata, che gode di scarsa credibilità pubblica, potesse chiamare i cittadini alla mobilitazione civile per salvare i pilastri della democrazia e della giustizia e trovare ascolto anche fra coloro che eravamo abituati a vedere ispiratori di queste proteste.
Non lo immaginavo, ma è avvenuto diverse volte negli ultimi mesi, e il miracolo si ripeterà il 25 settembre prossimo a Reggio Calabria, con la manifestazione “No ‘ndrangheta’’ che si annuncia grandiosa, avendo ottenuto in pochi giorni oltre cento adesioni collettive: sindacati, movimenti, associazioni, università, amministrazioni provinciali e numerosi comuni che porteranno in piazza i gonfaloni. La manifestazione è nata, chi l’avrebbe detto, dall’appello di un giornalista campano che si è fatto calabrese: Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano della Calabria, un piccolo giornale che negli ultimi mesi, nell’indifferenza generale, ha visto minacciati una decina di suoi giornalisti, più o meno lo stesso numero del concorrente diretto Calabria Ora. I
l 27 agosto Matteo ha lanciato l’ appello con un lucido editoriale condivisibile parola per parola. Un articolo accorato, velato di amarezza. Un articolo che poteva rivelarsi nient’altro che uno sfogo, un pugno a vuoto, e invece, insperatamente, ha colpito nel segno, ha scosso la rassegnazione, ha fatto apparire insensato l’ immobilismo. Di fronte allo sgomento per le bombe intimidatorie contro i magistrati e a “un’escalation che lascia immaginare prossime azioni ben più eclatanti”, ha scritto Cosenza, “ ben venga finalmente un sussulto delle coscienze come si vide a Palermo dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio e come non ci fu in Calabria dopo l’uccisione altrettanto esemplare di un magistrato come Scopelliti”. Un sussulto necessario “per far sentire meno soli i magistrati, i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri e tutti i servitori dello Stato che rischiano per conto nostro la loro vita”.
Proprio un bel pugno nello stomaco. E qual è stata la reazione? All’inizio i sindacati ed altri possibili compagni di strada non l’hanno presa bene. C’è stata qualche reazione risentita, poi però, quando ci si è messi attorno a un tavolo, Matteo Cosenza ha spiegato qual è la sua obiezione principale: che le attestazioni di solidarietà, fredde e ripetitive, non hanno più efficacia, servono a qualcuno per mettersi la coscienza a posto e offrono una passerella di visbilità agli esponenti politici e delle istituzioni locali. I sindacalisti hanno riconosciuto che Matteo aveva proprio ragione e non era il caso di offendersi, e hanno indetto la manifestazione per sabato 25 settembre. Poi sono arrivate le altre adesioni… Insomma è avvenuto l’impossibile. E a questo punto è lecito immaginare che, con la loro semplice presenza, le migliaia di manifestanti che saranno in quella piazza spingeranno a partecipare gli altri, gli incerti, gli attendisti, coloro che di solito si limitano a guardare i cortei dalle finestre socchiuse, quelli che accampano scuse, chi dice che le sfilate non servono a niente, coloro che non riescono a vincere la paura, chi prova sfiducia, rassegnazione, diffidenza, chi si nasconde dietro pretestuosi distinguo, chi si giustifica aggredendo, scagliando gratuite invettive contro i “professionisti dell’antimafia”, veri e propri insulti che, in questo come in altri casi, feriscono ma soprattutto squalificano chi li lancia.
Mi chiedo come ha fatto Matteo Cosenza a sfuggire al rogo a cui vengono trascinati di solito i giornalisti petulanti, e a trascinare tanti indecisi. Forse il punto di forza del suo appello è il tempismo con cui è stato lanciato in un momento di grave disorientamento. Un altro punto di forza a me pare la credibilità personale di chi lo ha firmato, un giornalista che si è rimboccato le maniche insieme ai suoi cronisti e si è immedesimato nel dramma che stanno vivendo non solo i magistrati chiusi nella procura-bunker, ma tutti i calabresi e con loro decine di giornalisti calabresi,soprattutto quelli del suo giornale e quelli del giornale concorrente, Calabria Ora. Due giornali che da qualche anno, con ostinazione e coraggio cercano di illuminare gli angoli bui della società calabrese, cercano di dissolvere il vasto buio informativo imposto con le minacce e alimentato dall’autocensura. Illuminano la scena come devono fare i giornalisti: orientando la bussola sui fatti, riferendoli, raccontandoli, inquadrandoli sia pure con le connotazioni ambigue e incerte con cui si manifestano.
Come dicevo, l’adesione di massa all’appello di un giornalista è una novità, ma non lo è in assoluto. Qualcosa di simile era già avvenuto. Un anno fa, fu la Federazione Nazionale della Stampa,il suo vertice composto rigorosamente da giornalisti, a indire una manifestazione di piazza contro la “legge bavaglio”, per difendere, diceva lo slogan, una informazione “senza guinzaglio”. A quella manifestazione, il 3 ottobre 2009, a Roma in Piazza del Popolo, insperatamente parteciparono centomila persone, chiamate a raccolta da sindacati, partiti, movimenti, associazioni che raccolsero e fecero proprio l’appello dei giornalisti della FNSI. Dunque anche quella volta furono i giornalisti a mettersi alla testa della lotta, a interpretare il ruolo insolito di capipopolo. E’ un segno dei tempi, e saranno i sociologi a spiegarci il fenomeno.
Ma una notazione possiamo farla: quella manifestazione, non dobbiamo dimenticarlo, ha ridato fiato e speranza a un popolo sfiancato dalle delusioni e sfiduciato, a cittadini convinti che ormai, con la televisione che detta legge, non fosse più possibile una così ampia mobilitazione a sostegno di grandi battaglie di civiltà. Quella manifestazione rimane perciò una pietra miliare. E non dobbiamo dimenticare che ha dato il via ad una campagna coronata da successo, perché alla fine il ddl sulle intercettazioni, che conteneva odiose norme liberticide, dopo tanti roboanti proclami dei suoi sostenitori, è finito sul binario morto, come volevamo noi, come ha certificato il presidente Giorgio Napolitano. Se è stato accantonato, molto dobbiamo a quella mobilitazione del 3 ottobre e alle iniziative che ne hanno seguito la scia: “Rai per una notte” di Michele Santoro, che radunò una folla immensa a Bologna ed fu rilanciata da una miriade di tv locali, il talk show itinerante di Giovanni Floris, la notte bianca di Conselice, e via elencando.
In un certo senso anche la manifestazione del 25 settembre prossimo, che richiamerà in piazza cittadini esigenti, affamati di diritti, di libertà e di giustizia, è nata su quella scia.
Fonte: Liberainformazione
Editoriale di Alberto Spampinato – Consigliere della FNSI, direttore di Ossigeno per l’informazione
17 settembre 2010