Scommessa nepalese
Emanuele Giordana - Lettera22
Tutte le incognite del dopo voto.
I risultati definitivi ancora non sono noti. Ma a qualche giorno dal voto per l'elezione dei 601 membri del parlamento nepalese, è già emerso chiaramente che l'ex movimento armato maoista, ora partito politico, godrà di una maggioranza assoluta, ben oltre i partiti tradizionali – quello del Congresso e il Partito comunista ML – con cui si è per altro accordato due anni fa proprio in vista delle elezioni. Il nuovo parlamento sarà una sorta di costituente che dovrà redigere una nuova Carta costituzionale nella quale, grazie al peso dei maoisti, il destino della corona appare definitivamente segnato. Non è certo se, come ha promesso il leader maoista Prachanda, il controverso monarca Gyanendra verrà spedito in esilio. Certo è che della monarchia costituzionale nepalese non resterà nemmeno l'ombra visto che il mandato popolare, da Kathmandu alle campagne, è stato chiarissimo.
Il voto sancisce una voglia di cambiamento che, per ora, è stata incassata a piene mani dai maoisti. Ma saranno capaci di creare, in questo bizzarro laboratorio politico sul tetto del mondo, uno stato repubblicano che sappia coniugare democrazia e cambiamento? Prachanda dice di si e ha già promesso di lavorare con tutti i partiti: larghe intese alla nepalese, condizionate però da una forte politica di riforme il cui secondo atto, dopo la sparizione della monarchia, sarà un riforma agraria che spezzi le antiche regole feudali, legate all'élite vicina alla monarchia che sinora ha fatto il bello e il cattivo tempo. Prachanda ha promesso un rilancio del turismo, un'ammissione indiretta che ogni violenza e ogni pericolo per la sicurezza individuale dovrà finire dopo oltre dieci anni di guerra civile.
L'ex presidente americano Jimmy Carter, benché il suo paese continui a considerare terroristi i maoisti nepalesi, ha detto di essere convinto che sapranno coniugare democrazia e aspirazioni di riforma. Cinesi e indiani, i più importanti vicini del Nepal, stanno a guardare. Per entrambi, la stabilità del piccolo stato cuscinetto (che confina tra l'altro col Tibet) è fondamentale per gli equilibri tra i due grandi colossi asiatici. Pechino è pronta a investire denaro e Delhi sembra disposta a rivedere il Trattato del 1950 che i nepalesi hanno sempre ritenuto troppo sbilanciato a favore dell'India. Rispetto ai maoisti, gli indiani possono anche giocare la carta di un passato recente che ha visto Delhi ospitare la leadership maoista in India e favorire di fatto il processo negoziale tra l'organizzazione di Prachanda e i partiti istituzionali di Kathmandu che hanno preparato il benservito al re e la “road map”. Processo che ha visto arrivare il paese himalayano, anche se con un doppio rinvio rispetto alla data in agenda, alle elezioni che, seppur provate da una campagna elettorale con episodi di violenza politica, si sono svolte senza brogli e in modo democratico, come lo stesso Carter ha certificato.
Il futuro è denso di nubi ma anche di promesse. Il pragmatismo è la carta che può vincere nel triangolo che, tra Delhi e Pechino, passa per Kathmandu.
Fonte: Lettera22 e La Nuova Sardegna
17 aprile 2008