Salviamo quelle vite
Jean-Léonard Touadi
La notizia avrebbe meritato la prima pagina di tutti gli altri giornali, invece, c’è solo cinica indifferenza sul dramma che stanno vivendo i profughi eritrei in Libia.
"Silenzio di Morte" era questo il titolo dell'editoriale de l'Unità che, unico quotidiano italiano, ha squarciato ieri il velo di cinica indifferenza che circonda il dramma che stanno vivendo i profughi eritrei in Libia. Ma la notizia avrebbe meritato la prima pagina di tutti gli altri giornali.
Una notizia come quella del dramma dei profughi eritrei avrebbe meritato la prima pagina di tutti gli altri giornali perché si tratta di un’emergenza nel contempo umanitaria, politica e costituzionale.
L’emergenza umanitaria immediata riguarda la sorte di trecento profughi eritrei in pericolo di morte con l’avallo del nostro governo firmatario di un “trattato d'amicizia” con un regime orgogliosamente ed ostinatamente basato sulla violazione sistematica dei diritti umani, come ampiamente documentato in questi anni da numerosi report indipendenti.
Da fonti attendibili in Libia gli immigrati eritrei – molti dei quali espulsi dall’Italia – sono stati trasferiti da Misrath verso Sebha nel sud della Libia in due container di ferro, del tipo di quelli utilizzati per il trasporto di merci sulle navi cargo, in condizioni inumane e degradanti per l’alta temperatura, il sovraffollamento e la mancanza d’aria. Le stesse fonti riferiscono di conoscere nomi e cognomi degli immigrati eritrei con i quali sono in contatto permanente e riferiscono di maltrattamenti e addirittura di torture subiti. Quest’ultima circostanza, se confermata, metterebbe l'Italia in una situazione di palese violazione del dettato costituzionale che proibisce al nostro paese di espellere cittadini stranieri in paesi dove possono subire torture o trattamenti degradanti e disumani.
Per salvare la vita ai circa trecento eritrei che si trovano ora rinchiusi nel centro di detenzione di Sebha in Libia, il governo italiano deve muoversi immediatamente usando tutti i mezzi diplomatici e tutte le pressioni politiche. Le autorità diplomatiche della nostra ambasciata sul posto a Tripoli sono state informate della situazione dagli organismi di sostegno e accompagnamento degli immigrati. La situazione a Sebha è grave.
Il governo italiano ha solo 48 ore di tempo per non incorrere nel gravissimo reato di non assistenza a persone in pericolo e di correità per deportazioni di massa.
Sullo sfondo c'è la politica dei respingimenti del nostro governo. Non solo contraria al diritto internazionale che sancisce in modo inequivocabile il principio di non-respingimento (articolo 33 della Convenzione di Ginevra), ma del tutto ideologica e strumentale in quanto la fermezza sbandierata lede il diritto al vita di quei pochi tra gli immigrati irregolari (meno del 10 per cento degli irregolari che entrano in Italia) in possesso dei requisiti per richiedere l’asilo politico esercitando un diritto garantito dalla nostra Costituzione. Con la benedizione dell’Italia, Gheddafi ha allestito sulle coste e nei deserti libici una piccola Guantanamo personale.
Rivolgiamo un appello urgente al governo e alle forze politiche tutte per salvare le vite umane degli immigrati africani in Libia. La “difesa della vita”, slogan molto presente nel dibattito politico italiano, non può e deve limitarsi all’embrione e al malato terminale. C’è di mezzo la vita dei tanti già nati che rivendicano il diritto di restare in vita.
Fonte: l'Unità
editoriale, 3 luglio 2010