Salvate il (bambino) soldato Khadr
Nicola Sessa
Inizia a Guantanamo il processo Khadr, il bambino soldato prelevato in Afghanistan dalle forze speciali Usa quando aveva solo quindici anni.
Sono bastate due udienze preliminari, lunedì e martedì, per vagliare le condizioni di procedibilità e la composizione della giuria che ha nelle mani il futuro di Omar Khadr, il ventitreenne cittadino canadese rinchiuso da sette anni nel campo di prigionia di Guantanamo, Cuba. Un terzo della sua giovane vita nel carcere più infame del pianeta, dal momento che quando le forze speciali Usa lo prelevarono nel villaggio afgano di Ayub Kheyl, Omar di anni ne aveva solo quindici.
Era il 27 luglio del 2002: nel corso di un combattimento tra gli uomini della Delta Force e un gruppo di talebani, Omar Khadr – classe 1986 – lanciò una granata che uccise un ufficiale statunitense e provocò il ferimento di altri due soldati: 1) omicidio, 2) tentato omicidio, 3) cospirazione, 4) affiliazione terroristica, 5) spionaggio, sono i cinque capi d'accusa di cui il bambino soldato Khadr deve rispondere davanti alla commissione militare di Guantanamo. È il primo procedimento dell'era Obama (che aveva promesso la chiusura di Gtmo entro il 1° gennaio del 2010 e che, soprattutto, aveva aspramente criticato il sistema delle commissioni militari), e gli Stati Uniti sono il primo paese, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, a processare un bambino soldato.
Omar è arrivato sorridente davanti agli uomini che lo giudicheranno, in giacca e cravatta, all'occidentale, diversamente dalle tuniche bianche musulmane che negli anni hanno sfilato sul banco degli imputati. Gli avvocati della difesa – il canadese Dennis Edney e il tenente colonnello Jon Jackson – hanno chiesto al giudice col. Patrick Parrish di stralciare dai verbali la confessione di Omar Khadr, inattendibile – ad avviso della difesa – in quanto estorta sotto minaccia e tortura. La corte la ritiene invece valida e attendibile, nonostante nel maggio scorso un ufficiale dell'esercito Usa avesse ammesso che nella prigione di Bagram, Afghanistan, (dove Omar è stato trattenuto prima del trasferimento a Cuba) la sua squadra avesse minacciato il quindicenne di stupro collettivo e di morte se non avesse collaborato. L'unico atto di indulgenza della corte arriva quando il col. Parrish interrompe l'accusa per invitare i giurati a tenere conto dell'età del ragazzo al tempo in cui risalgono i fatti. Difatti è proprio questo il perno su cui si basa l'impianto della difesa: Omar non sarebbe un feroce talebano ma solo un ragazzino capitato in una brutta situazione. L'unica colpa del bambino soldato è quella di essere figlio di Ahmed Said Khadr, cittadino canadese di origini egiziane trasferitosi in Pakistan a metà degli anni ‘80, sospettato di essere stato finanziatore di al-Qaeda per il tramite di un'oscura Ong.
La difesa ha sperato fino all'ultimo in un intervento del presidente Usa Obama che "ha invece deciso di scrivere un nuovo, triste e patetico capitolo nel libro delle commissioni militari" di Guantanamo. Diverse organizzazioni umanitarie stanno seguendo da vicino l'andamento del processo che potrebbe portare Omar Khadr alla sentenza del carcere a vita. L'Unicef, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dell'infanzia, ha espresso forti dubbi sulla legalità di questo processo, in primis perché i paesi sottoscrittori (tra cui gli Usa) del "Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati" devono prestare assistenza ai bambini soldati per il loro recupero sociale e la loro reintegrazione e in secondo luogo perché questo processo potrebbe costituire un gravissimo precedente che mette a rischio il futuro e la vita di centinaia di migliaia di bambini soldati impiegati nei conflitti in tutto il mondo.
Omar Khadr quel 27 luglio del 2002 ha perso un occhio ed è stato colpito alla schiena da due proiettili, è stato sottoposto a molte delle pratiche presenti nel catalogo della "dottrina Cheney", nei suoi confronti non è stato applicato l'articolo 3 della Convenzione di Ginevra né alcun trattato sulla Giustizia minorile internazionale. In una lettera indirizzata ai suoi avvocati, Omar ha rifiutato il patteggiamento della pena, ha voluto che questo processo si celebri perché "Io ho l'obbligo di mostrare al mondo ciò che succede quaggiù. Sembra che quanto fatto finora non sia bastato, ma forse funzionerà se il mondo vedrà gli Usa condannare un bambino al carcere a vita. E se nessuno dovesse accorgersi di nulla, in quale mondo verrei rimesso in libertà? In un mondo fatto di odio e di discriminazione".
Fonte: www.peacereporter.it
12 Agosto 2010