Salam, salam, salam!
Famiglia Cristiana
Con la Messa a Erbil, nel Kurdistan iracheno, si è concluso il viaggio apostolico di papa Francesco. Tre giorni per incontrare le ferite e il dolore del popolo martire per la guerra e la violenza. E riaprire alla speranza che viene dall’accoglienza gli uni degli altri. Ieri, ultima notte in nunziatura.
«Allah ma’ akum! Dio sia con voi». Non è un saluto di circostanza quello, ripetuto anche in arabo, con il quale papa Francesco saluta la folla che ha partecipato alla messa a Erbil, ultima tappa del suo viaggio in Iraq. «Ora, si avvicina il momento di ripartire per Roma. Ma l’ Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore», dice Francesco. E chiede a tutti «di lavorare insieme in unità per un futuro di pace e prosperità che non lasci indietro nessuno e non discrimini nessuno. Vi assicuro le mie preghiere per questo amato Paese. In modo particolare, prego che i membri delle varie comunità religiose, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, cooperino per stringere legami di fraternità e solidarietà al servizio del bene comune e della pace».
L’ arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda, lo aveva ringraziato «per il Suo coraggio, per essere venuto qui, in questo nostro travagliato Paese, una terra così piena di violenza, questo luogo delle dispute infinite, di sfollamento e sofferenza per la gente» e per aver fatto questo viaggio in un tempo di pandemia e crisi globale rendendo concrete le parole di Cristo : «Non abbiate paura».
Un incoraggiamento che papa Francesco ha dato con la sua presenza e le sue parole. Anche nel corso dell’ omelia Bergoglio ha sottolineato la forza che viene dal Vangelo, che viene dalla misericordia e dal perdono. La sapienza di Dio, ha ricordato, si è rivelata con la croce di Gesù. È facile cadere nella trappola di voler dimostrare la propria forza agli altri. «Nella trappola di farci immagini false di Dio che ci diano sicurezza… In realtà, è il contrario, tutti noi abbiamo bisogno della potenza e della sapienza di Dio rivelata da Gesù sulla croce. Sul Calvario, Lui ha offerto al Padre le ferite dalle quali noi siamo stati guariti».
E in Iraq ci sono ancora le ferite della guerra e della violenza, «ferite visibili e invisibili!». Ma a queste ferite bisogna rispondere seguendo l’ esempio di Gesù, che ha scacciato i mercanti dal tempio. «Perché Gesù ha fatto questo gesto così forte, così provocatorio? L’ ha fatto perché il Padre lo ha mandato a purificare il tempio: non solo il tempio di pietra, ma soprattutto quello del nostro cuore. Come Gesù non tollerò che la casa del Padre suo diventasse un mercato, così desidera che il nostro cuore non sia un luogo di subbuglio, disordine e confusione. Il cuore va pulito, va ordinato, va purificato».
Abbiamo bisogno di ripulirci dalle falsità, dalle doppiezze dell’ ipocrisia, dalle «ingannevoli sicurezze che mercanteggiano la fede in Dio con cose che passano, con le convenienze del momento». Dobbiamo difenderci dalle suggestioni del potere e del denaro, di sporcarci le mani per aiutare i fratelli che soffrono, di «restaurare il tempio del nostro cuore». Sapendo che Dio è sempre con noi, che non ci abbandona anche quando gli voltiamo le spalle. «Ci cerca, ci insegue, per chiamarci al pentimento e per purificarci» perché «vuole che siamo salvati e che diventiamo tempio vivo del suo amore, nella fraternità, nel servizio e nella misericordia».
Purificandoci Gesù «ci libera da un modo di intendere la fede, la famiglia, la comunità che divide, che contrappone, che esclude, affinché possiamo costruire una Chiesa e una società aperte a tutti e sollecite verso i nostri fratelli e sorelle più bisognosi» e ci libera dalla tentazione di vendicarci di chi ci ha fatto del male, ci distoglie da una spirale di ritorsioni senza fine. «Con la potenza dello Spirito Santo», continua il Papa, «ci invia, non a fare proselitismo, ma come suoi discepoli missionari, uomini e donne chiamati a testimoniare che il Vangelo ha il potere di cambiare la vita».
E così «comunità cristiane composte da gente umile e semplice diventano segno del Regno che viene, Regno di amore, di giustizia e di pace». Il Signore ci promette, conclude il Pontefice, «che, con la potenza della sua Risurrezione, può far risorgere noi e le nostre comunità dalle macerie causate dall’ ingiustizia, dalla divisione e dall’ odio. È la promessa che celebriamo in questa Eucaristia. Con gli occhi della fede, riconosciamo la presenza del Signore crocifisso e risorto in mezzo a noi, impariamo ad accogliere la sua sapienza liberatrice, a riposare nelle sue ferite e a trovare guarigione e forza per servire il suo Regno che viene nel nostro mondo». Riconosce, Francesco, che la Chiesa in Iraq ha fatto e sta facendo molto «per proclamare questa meravigliosa sapienza della croce diffondendo la misericordia e il perdono di Cristo, specialmente verso i più bisognosi». In mezzo a povertà e difficoltà «molti di voi hanno generosamente offerto aiuto concreto e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a venire in pellegrinaggio tra di voi a ringraziarvi e confermarvi nella fede e nella testimonianza. Oggi, posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva, che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele».
Il Papa è grato, dice nei saluti finali, a chi ha preparato la sua visita, compresa la «cara popolazione curda» e confessa che «in questi giorni passati in mezzo a voi, ho sentito voci di dolore e di angoscia, ma ho sentito anche voci di speranza e di consolazione». Merito, questo, «in buona parte, di quella instancabile opera di bene che è stata resa possibile grazie alle istituzioni religiose di ogni confessione, grazie alle vostre Chiese locali e alle varie organizzazioni caritative, che assistono la gente di questo Paese nell’ opera di ricostruzione e rinascita sociale». Ringrazia particolarmente i membri della Roaco ai quali, per primi, aveva annunciato la sua intenzione di recarsi in Iraq. E conclude dicendo grazie nelle diverse lingue alam, salam, salam! Shukrán! E invocando Dio: «Dio vi benedica tutti! Dio benedica l’ Iraq!».
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