Riconoscersi fratelli e cittadini


Antonio Spadaro


Il 12 e 13 aprile seminario «Essere mediterranei» che si terrà nella sede romana della rivista «La Civiltà Cattolica»e che si concluderà con una conferenza aperta al pubblico dal titolo «Fratelli e cittadini nel Mediterraneo. La profezia di Papa Francesco e dell’imam di Al-Azhar»


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«Essere mediterranei» è il tema del seminario di studi che si svolgerà il 12 e il 13 aprile, presso la sede de «La Civiltà Cattolica».

L’appuntamento vedrà la partecipazione di numerosi accademici, studiosi e giornalisti. Nella prima giornata i lavori saranno aperti dal direttore della rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro. Tra gli interventi in programma quelli di Marco Impagliazzo e Mario Giro della comunità di Sant’Egidio, di Francesco De Leo di «Radio Radicale», di Roberto Morozzo della Rocca dell’Università Roma Tre, di Nikos Tzoitis del Patriarcato di Costantinopoli, di padre René Mario Micallef dell’Università Gregoriana e di Gianni Valente dell’agenzia di stampa «Fides». Sabato 13 aprile, sono previsti, tra gli altri, gli interventi di Giorgio Bernardelli della rivista «Mondo e Missione», di Mourad Zidane El Amrani dell’Università di Padova. A seguire, dalle 18 alle 20, si svolgerà una tavola rotonda pubblica, moderata da padre Spadaro, dal titolo: «Fratelli e cittadini nel Mediterraneo — La profezia di Papa Francesco e dell’imam di al-Azhar», alla quale prenderanno parte i relatori Antoine Courban dell’Università Saint-Joseph di Beirut, Izzeddin Elzir, imam di Firenze, e Anna Foa dell’Università La Sapienza di Roma.

Se consideriamo gli ultimi 50 anni, da quando la lettura degli studi di autori come Predrag Matvejević e Fernand Braudel ha sollevato un forte interesse per la storia, la geografia e le culture del Mediterraneo, gli studi sull’unico mare sul quale si affacciano e si congiungono tre continenti si sono moltiplicati. Così come il desiderio che il Mediterraneo sia luogo di pace, nonostante — e anzi proprio perché — è luogo di tensioni e conflitti.

Durante il recente viaggio di Francesco in Marocco, il re Mohammed VI ha affermato: «Volutamente ci incontriamo qui tra Mediterraneo e Atlantico e a poca distanza tra Marocco e Siviglia, perché questo sia un punto di scambio e di comunicazione spirituale e culturale tra l’Africa e l’Europa». Di questo oggi c’è bisogno nel Mediterraneo: di incontro, scambio e comunicazione spirituale.

Lo aveva detto bene tempo fa lo scrittore Maurizio Maggiani: «C’è un’altra cosa, che contraddistingue e che identifica il Mediterraneo, qualcosa che si trova ovunque nel Mediterraneo oltre all’acciuga, al pane, all’olio e al vino: è Dio», il Dio dei popoli del Mediterraneo, il Dio di Abramo e degli ebrei, dei musulmani e dei cristiani. Attorno a questo mare si sono sviluppate le tre religioni monoteistiche.

I princìpi sui quali gli uomini del bacino mediterraneo hanno edificato la loro civiltà sono fondati su una visione che li accomuna. Per loro, una creazione sta all’origine del mondo, ed essa è il frutto di una volontà esplicita di un Dio personale; l’uomo è stato creato per essere in relazione con lui. La vita ha un senso, e mette in gioco la responsabilità e la libertà di ogni uomo; la morale è in funzione di un fine superiore da raggiungere. Esiste un nesso tra ciò che l’uomo fa oggi e il raggiungimento di un bene superiore nel futuro. La realizzazione di questo bene deve compiersi con gli altri, e una fraternità effettiva fra tutti gli uomini è il riflesso della paternità universale di Dio.

La «visione» mediterranea è insieme teologica e storica. Pur nella diversità evidente, è stata plasmata dalle traiettorie politiche, economiche e culturali che per terra e per mare sono state aperte nel corso dei secoli. Il Mediterraneo è davvero «Mare nostro». I conflitti sono dentro queste vie come opzioni possibili. Papa Francesco, visitando la terra di don Tonino Bello, lo aveva detto: questo mare può essere un «arco di guerra teso», ma è chiamato ad essere «un’arca di pace accogliente».

Il Mediterraneo è stato ed è capace di generare valori, simboli, colori, sapori, architetture, linguaggi e sensibilità insospettabilmente simpatetiche e armoniche, pur nella differenza delle storie e nonostante la presenza dei conflitti: dalla Spagna alla Grecia, dal Marocco al Libano, da Malta all’Albania. Pensiamo a quel che in questi giorni sta accadendo in Libia — e le relative relazioni di Italia e Francia con quel Paese — o in Algeria. La rivalità delle tradizioni che hanno formato il mondo mediterraneo ha dominato la storia di questa regione da secoli. Ma non è presunzione pensare al loro riavvicinamento.

Jacques Maritain, nel suo discorso inaugurale alla Conferenza dell’Unesco, a Città del Messico nel 1946, parlò di «un accordo di pensiero» che «può essere raggiunto spontaneamente, non su un comune pensiero speculativo, ma su un comune pensiero pratico», cioè «sull’affermazione di un medesimo insieme di convinzioni che guidino l’azione». E questo «è abbastanza per intraprendere una grande opera».

Di tutto questo si parlerà in un seminario di studio dal titolo «Essere mediterranei» che si terrà nella sede romana della rivista «La Civiltà Cattolica» il 12 e il 13 aprile, e che si concluderà con una conferenza aperta al pubblico dal titolo «Fratelli e cittadini nel Mediterraneo. La profezia di Papa Francesco e dell’imam di Al-Azhar». L’evento fondamentale che ha mosso la rivista dei gesuiti a pensare questo seminario è stata proprio la firma congiunta da parte dei due leader del documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, che ha definitivamente negato gli usi strumentali della religione legati ai fondamentalismi.

Al seminario saranno presenti esperti, giornalisti e accademici, che si occuperanno di tutti e singoli i Paesi rivieraschi. Si discuterà di che cosa significa essere cittadini di questo storico e mitico bacino di civiltà. E questo anche considerando il prossimo «Incontro di riflessione e di spiritualità per la pace nel Mediterraneo», organizzato dai vescovi italiani, che si svolgerà a Bari nel febbraio 2020 e che coinvolgerà i pastori dell’area.

Lo spazio della conferenza pubblica de «La Civiltà Cattolica», successivo al seminario, sarà affidato a una voce ortodossa, il professor Antoine Courban, dell’Università Saint-Joseph di Beirut; una islamica, l’imam di Firenze Izzedin Elzir; e una ebraica, la professoressa Anna Foa, dell’Università La Sapienza di Roma. È impossibile infatti — la storia oltre che la geografia ce lo impedisce — parlare di Mediterraneo senza coinvolgere la riflessione e la spiritualità propria delle tre grandi religioni abramitiche e pure, tra i cristiani, senza accomunare nella riflessione Roma e Costantinopoli.

Il riconoscimento della fratellanza cambia la prospettiva, e ha portato direttamente a riflettere sul significato della «cittadinanza»: tutti siamo fratelli e quindi tutti siamo cittadini con eguali diritti e doveri, all’ombra dei quali tutti godono della giustizia, hanno scritto Francesco e al-Tayyib. La cittadinanza comune, criterio fondante del vivere insieme, indica — e in particolare ai Paesi del Mediterraneo orientale — una via per uscire dalle secche delle contrapposte visioni.

Il cammino, se condiviso e difeso, può dare molti frutti. Non solo per il Mediterraneo, ma anche per l’Europa, dove i suoi abitanti fanno fatica a riconoscersi fratelli e concittadini. Il «Mare nostrum» potrebbe essere «laboratorio» d’Europa, dove il tema del passaggio da abitanti a cittadini è davvero un punto cruciale per il domani.

Questo cammino richiede il gusto della profezia perché non è mai lo specchio esatto, la certificazione del presente: richiede una disponibilità che non è da dare sempre per scontata né da parte dei leader politici né da parte di quelli religiosi. Che fare allora? «Dobbiamo dare prova di idealismo e di pragmatismo, dobbiamo essere realisti esemplari», ha auspicato il re del Marocco. E questo soprattutto perché, ha specificato il Papa, abbiamo «una grande storia da costruire».

Padre Joseph Joblin in un suo articolo del 2002 su «La Civiltà Cattolica» concludeva così: «I popoli della regione mediterranea devono vincere la diffidenza esistente tra loro, abituati come sono a insistere più̀ sulla loro singolarità politica, economica, culturale, sociale e religiosa, che non sul loro dovere di riavvicinarsi. A tal fine è necessario risvegliare negli uni e negli altri la convinzione che “soltanto la ricerca di una fraternità universale costruisce la pace”; tale utopia può diventare realtà se l’aiuto allo sviluppo da parte dei Paesi del nord come il rispetto delle libertà pubbliche e soprattutto della libertà di religione sono intese come misure, circoscritte in un primo tempo, ma reciproche e, come tali, in grado di far nascere e sviluppare la fiducia».

Queste parole, scritte 17 anni fa ci sembrano oggi molto attuali e utili per rispondere alla domanda: quali prospettive si pongono e quali forze problematiche si oppongono alla “fratellanza” nel Mediterraneo?

di Antonio Spadaro

Osservatore Romano

11 aprile 2019

 

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