Riconfigurare le forze armate: strada in salita per il ministro Di Paola
Gianandrea Gaiani
“Un ulteriore passo di riconfigurazione delle nostre Forze Armate non potrà non investire il dimensionamento, la struttura e l’organizzazione. Questa
Nella sua prima audizione alle commissioni congiunte Difesa di Camera e Senato il neo ministro della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, non ha usato giri di parole per sottolineare le priorità dello strumento militare italiano. Presentando le linee programmatiche del suo dicastero Di Paola ha dichiarato che l'attuale struttura della Difesa «ha un dimensionamento non più sostenibile, questo è un fatto da cui trarre le dovute conseguenze». La riduzione numerica delle forze armate e soprattutto degli organici è da tempo sul tavolo dei piani alti del ministero della Difesa ma finora nessun Governo è riuscito a elaborare un programma che rimpiazzi il vecchio modello a 190 mila effettivi ormai superato e insostenibile sul piano finanziario. Oggi i militari in servizio in esercito, marina e aeronautica sono 178 mila che assorbono quasi il 70 per cento di un bilancio che assegna alla Funzione Difesa poco più di 14,3 miliardi di euro che scenderanno a meno di 12 nei prossimi due anni in base ai tagli per 2,5 miliardi già stabiliti dal Governo Berlusconi per il 2012 e 2013. Per realizzare uno strumento militare bilanciato, cioè che destini al personale la metà dei fondi lasciandone il 50% disponibile per l'esercizio egli investimenti (cioè la gestione, l'addestramento e l'acquisizione di nuovi equipaggiamenti) occorre necessariamente puntare su forze armate composte da 120/140 mila militari.«Un ulteriore passo di riconfigurazione delle nostre Forze Armate non potrà non investire il dimensionamento, la struttura e l'organizzazione. Questa – ha sottolineato Di Paola – è la strada che hanno preso anche i nostri partner europei. Si dovrà incidere sul rapporto tra gli ingressi e le uscite delle Forze Armate, e lo si dovrà fare in maniera sostenibile. Sono scelte dolorose e difficili ma nel tempo sono state erose risorse alla Difesa. Non me ne compiaccio, ma dobbiamo prenderne atto: nell'attuale quadro economico il rigore e il contenimento delle spese sono un fattore di prospettiva ineludibile». Riduzione degli organici e delle spese ma nell'agenda del ministro ci sono anche le dismissioni degli immobili militari. «Abbiamo un patrimonio immobiliare che non è più sostenibile – ha detto Di Paola – dobbiamo avere il coraggio di dismetterlo in maniera funzionale» In un'intervista al Mattino, il ministro Di Paola ha precisato che il ridimensionamento è «un obiettivo che non si raggiunge nell'arco del mandato di un Governo ma la prospettiva deve essere quella del riequilibrio. I recuperi più immediati riguarderanno tutti i settori. Interverremo contraendo le spese di funzionamento e dilazionando le altre». Circa i tagli al personale «le risorse umane non si possono cancellare in un secondo. Vanno gestite con sensibilità umana e sociale. Pertanto in quel settore le dinamiche saranno più lente». Rischia quindi di venire smentita la previsione di Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, che al momento della nomina a ministro di Di Paola disse di non credere «che sarà un ammiraglio a tagliare le spese militari». Gli esuberi più evidenti, quasi 30 mila marescialli "anziani" e qualche migliaio di ufficiali, non sono certo prepensionabili dall'oggi al domani se non a costi inaccettabili e anche il recente provvedimento che consente ai militari di transitare volontariamente in altre amministrazioni dello Stato non sembra avere un grande successo.In questo contesto l'unico modo per ridurre i numeri delle forze armate è limitare i nuovi arruolamenti in modo da registrare per alcuni anni un gap con quanti lasciano l'uniforme . Nel 2012 verranno arruolati 9 mila giovani a fronte dei 12 mila previsti ma in questo modo si continua a "invecchiare" le forze armate e già oggi, soprattutto nell'esercito, si schierano reparti di prima linea composti in media da trentenni. Pure la volontà di vendere il patrimonio immobiliare della Difesa rischia di cozzare, come già in passato, contro le difficoltà ad alienare caserme, terreni e proprietà che interessano soprattutto alle amministrazioni locali le quali non hanno però intenzione di pagarle o non possono finanziariamente permettersi di farlo. L'ex sottosegretario alla Difesa, Crosetto dichiarò il 23 settembre scorso che il ministero della Difesa contava di istituire entro fine anno un fondo immobiliare per la vendita di cinque immobili ubicati nella provincia di Roma, del valore di circa 700 milioni di euro. «Per noi è una prova», spiegò Crosetto, «si partirà con beni di Roma e poi se ne potranno aggiungere altri. II problema è che prima questi beni vanno valorizzati urbanisticamente». D'altra parte l'attuale crisi del mercato immobiliare rischia di costringere la Difesa a svendere il suo patrimonio. Difficile ipotizzare tagli ulteriori a manutenzioni e addestramento (la voce Esercizio è stata tagliata del 66 per cento in dieci anni) già decurtate ogni oltre limite accettabile negli anni scorsi, mentre riduzioni agli investimenti impedirebbero di disporre di nuovi mezzi. Tagli in questo settore sono già del resto previsti dalla riduzione dei fondi utilizzati dal ministero per le attività produttive per i programmi dell'industria della Difesa: 2,25 miliardi di euro nel 2011. Attuabile in tempi relativamente brevi sarebbe invece la riduzione dei gradi più alti, da colonnello a generale/ammiraglio, cancellando le strutture militari territoriali che assorbono nutrite schiere di comandanti, accorpando o riducendo scuole e reparti d'addestramento per destinare più risorse alle unità operative. Provvedimenti immediati potrebbero poi ridurre o azzerare i privilegi della "casta" militare. Circoli e centri vacanza potrebbero venire venduti così come un forte risparmio verrebbe prodotto dall'abrogazione della promozione al grado superiore il giorno prima della pensione. O del cosiddetto trattamento di "ausiliaria" che consente di ai militari che lasciano il servizio di mantenere la pensione "agganciata" per cinque anni alle retribuzioni del personale in servizio in cambio della disponibilità ad essere richiamati temporaneamente in servizio. Una norma costata 326 milioni nel 2011, circa un quarto di quanto previsto a bilancio per la gestione e manutenzione di mezzi e infrastrutture e l'addestramento dei reparti.
di Gianandrea Gaiani
Fonte: Il Sole 24 Ore
2 dicembre 2011