Riconciliazione. Tra chi?
Paola Caridi - invisiblearabs.com
Tutto in poche ore. Così com’è successo altre volte. L’annuncio di un viaggio: personaggi eccellenti nello stantio panorama politico palestinese che si muovono dalla Cisgiordania e dall’Egitto, ed entrano a Gaza.
Tutto in poche ore. Così com’è successo altre volte. L’annuncio di un viaggio: personaggi eccellenti nello stantio panorama politico palestinese che si muovono dalla Cisgiordania e dall’Egitto, ed entrano a Gaza. Di colpo, tutti i riflettori si accendono (finalmente) su uno dei luoghi più dimenticati e sconosciuti del mondo, sol perché sono i politici (palestinesi) a muoversi. Degli altri, degli invisibili gazani, di un milione e 700 mila persone che abitano appena 400 kmq di terra, ci eravamo dimenticati. Ma tant’è, potenza della politica politicante. In Palestina, in Medio Oriente e in Italia.
E allora parliamo di politica (palestinese). I personaggi eccellenti che arrivano a Gaza sono i protagonisti, a vario titolo, della riconciliazione tra Hamas e Fatah. O per meglio dire, e poi lo spiegherò, tra Hamas e OLP. Arrivano in delegazione dalla Cisgiordania, e alla fine degli incontri con i leader di Hamas firmano un accordo che ripercorre, quasi del tutto, le linee generali degli accordi sulla riconciliazione firmati nel 2011 al Cairo e nel 2012 a Doha. Un governo che in qualche modo superi le divisioni e metta in comunicazione i nemici (seppur attraverso i tecnocrati), e le elezioni presidenziali, politiche nell’Anp e dell’assemblea dell’Olp. D’altro canto, questi passi sono essenziali per riconciliarsi, e soprattutto per conservare lo status quo nella politica palestinese: l’Autorità Nazionale (e cioè il territorio), da una parte, e l’OLP (e cioè il popolo), dall’altra. Nonostante le grida e le minacce di Abu Mazen, di riconsegnare le chiavi dell’Anp e dissolvere il potere a Ramallah causa fallimento, la firma dell’accordo a Gaza City conferma che nessuno, a Ramallah e Gaza City, vuole cedere il proprio potere. Semmai, vuole trovare un’intesa che perpetui questo strano equilibrio senza confini, senza futuro, senza strategia.
E allora, c’è qualcosa di diverso dal solito in questo ultimo accordo firmato sotto i riflettori? Qualcosa c’è, per chi segue da anni l’evoluzione della politica palestinese. Anzitutto il luogo: Gaza City. Trovarsi su terra palestinese, a firmare l’intesa, vuol dire ricondurre la riconciliazione totalmente all’interno delle dinamiche palestinesi, anche dal punto di vista mediatico. E poi vuol dire riconoscere il ruolo dell’ala gazana di Hamas. A mettere la sua firma – e anche questo dettaglio è importante – è stato Ismail Haniyeh. Non è stato Khaled Meshaal, che assieme a Mahmoud Abbas si è tenuto lontano da Gaza. Haniyeh è stato dunque non solo il delegato a firmare per Hamas, ma ha anche riunito nel suo ruolo una figura di governo con una di movimento. Un fatto che, nella storia di Hamas, non succede quasi mai.
A supervisionare, comunque, c’era Moussa Abu Marzouq, arrivato dal Cairo, dove ancora risiede nonostante il pugno di ferro del regime militare egiziano contro i Fratelli Musulmani, accusati nelle aule di tribunale di aver agito contro lo Stato egiziano in combutta proprio con…Hamas. Cosa significa, la presenza di Abu Marzouq? Difficile dare una risposta secca. Abu Marzouq non è solo lo stratega di Hamas. È anche l’uomo sempre presente in qualsiasi mediazione che riguardi Hamas, Gaza, Egitto. I suoi rapporti con i servizi segreti militari egiziani sono alla base della capacità di mediazione, non solo sulle tregue con Israele, ma anche sulla liberazione dei prigionieri palestinesi in cambio del rilascio di Gilad Shalit. E infatti Abu Marzouq è poi l’unico, nella leadership di Hamas, a risiedere in Egitto dopo l’uscita dalla Siria e l’abbandono della sede estera (Damasco) del movimento islamista. Residenza che ancora mantiene, anche dopo la rimozione del presidente eletto Mohammed Morsi e l’arresto, assieme a Morsi, di quasi tutta l’alta gerarchia dei Fratelli Musulmani egiziani. La presenza di Abu Marzouq indica anche, per esempio, che Hamas è riuscita – almeno parzialmente – a uscire dall’isolamento, e in particolare dalla chiusura imposta dagli egiziani a Rafah: a mitigare, cioè, la profonda debolezza in cui si trova.
Dall’altra parte, nella delegazione arrivata dalla Cisgiordania, c’erano personaggi di diverso tipo. Perché non era Fatah a firmare l’accordo, stavolta, bensì l’OLP. Nella firma dell’intesa di Gaza City, cioè, è stata superata l’ambiguità che si era avuta nelle precedenti occasioni. La firma di Abu Mazen, infatti, metteva assieme – nella figura di Abbas – Anp e OLP, senza sciogliere il nodo. Stavolta, invece, vi erano i rappresentanti di alcuni dei movimenti di cui l’OLP è composta, compreso Mustafa Barghuthi. E vi era anche il tycoon palestinese Munib al Masri, che da anni preme per la riconciliazione, dietro le quinte. Cosa significa? Significa che il nodo dell’OLP arriva man mano in superficie, perché l’ingresso di Hamas dentro l’organizzazione che rappresenta il popolo palestinese (tutto, in maniera transnazionale) deve essere affrontato da anni. Finora senza soluzione. Significa che il nodo dell’OLP è fondamentale per qualsiasi negoziato di pace, e l’idea che si continui a trattare con la OLP di un tempo e con gli stessi negoziatori non riesce più a portare risultati. Neanche risultati di facciata, come quelli nel quali si sperava con l’ultima mediazione di John Kerry.
E qui entra in gioco Israele, che ha sempre avversato non solo Hamas, ma la stessa riconciliazione palestinese che riporterebbe in campo la Palestina come unico soggetto politico (almeno formalmente). Le trattative con l’OLP sono ormai interrotte, com’era prevedibile, dopo la firma della riconciliazione: non è stata però la firma di Gaza City a decretare la sospensione di un negoziato che non aveva fatto un solo passo avanti in lunghi mesi di colloqui a singhiozzo. Ma lo stop non risolve nulla: né la situazione sul terreno, con le tensioni sempre più alte a Gerusalemme, né la questione del riconoscimento – da parte di Israele – di una Palestina, di uno Stato palestinese, di un soggetto politico e statuale. Questa impasse, questa aria terribilmente ferma non è un buon segno, perché il singolare status quo che ha retto le sorti del conflitto israelo-palestinese negli ultimi anni mostra una trama ormai lisa, pronta a saltare in qualsiasi momento.
Fonte: http://invisiblearabs.com
24 aprile 2014